La Staatstheater Darmstadt inaugura la stagione delle nuove produzioni con L’Orfeo di Monteverdi, un racconto sul potere della musica e dell’arte, che riesce a commuovere gli uomini e gli dei e perfino a vincere la morte, e allo stesso tempo un impressionante viaggio agli Inferi.
Come a Bayreuth l’inizio della recita è annunciato da una fanfara, che fa risuonare nel foyer le note squillanti della toccata. Poi ci si immerge nell’ambiente sotterraneo della Kammerspiele, quasi un anticipo della discesa verso l’Ade. Andreas Bode disegna uno spettacolo leggero in cui l’orchestra, i cantanti e gli spettatori condividono lo stesso spazio, una superfice scura che potrebbe essere benissimo l’atrio di una stazione o un parcheggio sotterraneo. Due pilastri rettangolari incorniciano un’aiola rotonda di rocce, felci e acqua (le erbose sponde e il fiorito prato del libretto di Alessandro Striggio). La compattezza della rappresentazione esalta la fusione di parola e musica, e ricrea un’atmosfera da compagnia itinerante. E come nelle rappresentazioni pubbliche, parte della troupe si mescola spesso al pubblico. Anche i costumi fantasiosi di Geraldine Arnold e il décor preparato da Geelke Gaycken, un paio di barchette trainate a mano, rimandano all’estetica del teatro di strada. La mancanza di qualunque macchina scenica fa sì che lo sviluppo dell’opera faccia leva solo sui movimenti e le espressioni dei protagonisti. Grazie anche a questa recitazione efficace, ne esce uno spettacolo compatto e vivace, che ben ricrea le emozioni del melodramma di Monteverdi e Striggio. En passant si può notare che la prima recita dell’Orfeo ebbe luogo nel 1607 in una sala del Palazzo Ducale di Mantova; una rappresentazione in un ambiente non teatrale quasi si ricollega a quegli albori del genere operistico.
Nel numeroso cast spicca l’Orfeo di David Pichlmaier, per la gestualità e i piacevoli colori vocali, soprattutto nel registro più basso. Sfoggia movenze da vera pop star quando, in parrucca gialla e sneaker, intona lo hit monteverdiano “Vi ricorda, o boschi ombrosi” e si fa apprezzare per i virtuosismi di “Possente Spirto”, momento centrale della favola pastorale, sia in senso letterale che drammaturgico. Il controtenore Robert Crowe copre con disinvoltura e belle agilità ben quattro parti dell’opera (La Musica, Euridice, la Speranza, e Apollo), sempre a suo agio in tutti i cambi di ruolo. Vocalmente espressiva la Proserpina di Cathrin Lange, che con gran charme ha gioco facile nel persuadere l’infernale consorte, portato in scena da Christian Tschelebiew, a rilasciare la bella Euridice. Solenne e accigliato il Caronte di Marko Špehar. Joachim Enders guida con vigore e precisione la Staatsorchesters Darmstadt a ranghi ridotti, ma integrata dal gruppo del continuo. Ottimi gli ottoni infernali. Belli gli afflati corali sia di gioia sia di orrore (“Ahi caso acerbo!”)
Lo spettacolo di Darmstadt, a lungo applaudito dal pubblico, ci ricorda perché l’Orfeo sia l’opera più antica ancora adesso rappresentata. Un meccanismo perfetto che a distanza di quattrocento anni, grazie all’unione fra parole e musica, è ancora capace di rappresentare i moti dell’animo e di coinvolgere gli spettatori odierni.
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SCHEDA
Direttore, Joachim Enders
Regia, Andreas Bode
Scene, Geelke Gaycken
Costumi, Geraldine Arnold
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CAST
Orfeo, David Pichlmaier
La Musica / Euridice / Speranza / Apollo, Robert Crowe
Messaggiera, Elisabeth Hornung
Caronte / Spirito, Marko Špehar
Ninfa / Proserpina, Cathrin Lange
Plutone, Christian Tschelebiew
Pastore / Spirito, Mark Adler, Musa Nkuna
Soprano 1, Giorgia Cappello
Soprano 2, Diana Schmid
Tenore 1, Jonas Boy
Tenore 2, Eddie Wolff
Basso, Andreas Donner