di Euripide
con Massimiliano Di Corato, Caterina Pilon, Andrea Lopez Nunes, Giulia Bisinella, Gabriele Barbetti, Miriam Costamagna
regia Daniela Nicosia
aiuto regia Vassilij Gianmaria Mangheras
Scene Gaetano Ricci
Musiche Originali Paolo Fornasier
Elementi coreografici Clara Libertini
Disegno Luci Paolo Pellicciari
Suono Simone Livieri
Video di scena Marco Schiavoni
Costumi Emanuela Cossar
Assistente alla regia Isabella De Biasi
Una produzione Tib Teatro
———–
Un’Elettra a dir poco insopportabile quella che mette in scena il Tib Teatro, non certo per le doti tecniche dell’attrice Caterina Pilon, la qual voce e corpo non mancano ma questo suo esagerato battersi dall’inizio alla fine del dramma, questo suo tremore continuo appare posticcio ed ingiustificato. Peccato perché appunto Caterina Pilon può ben dirsi all’altezza del ruolo ma purtroppo la sua Elettra risulta troppo spesso fuori dalle righe, la recitazione è quasi sempre barocca per non dire ottocentesca, come quando Alfieri si lamentava di taluni attori che “facevano mille cose indecenti in teatro, cioè di boccheggiare se avevano a morire, di contorcersi e sfigurarsi se avevano da esprimere qualche passione che non sentivano.”1
Per fortuna nella prima parte il testo di Euripide regge grazie all’attore Massimiliano Di Corato, il quale interpreta i versi con accento pugliese (da degno abitante della Magna Grecia) sia il messaggero nel prologo, sia il marito povero a cui Elettra è costretta a sposare per volere del patrigno Egisto per farla allontanarla dal palazzo.
Di Corato interpreta questo personaggio da vero buzzurro pugliese, i suoi modi sono rozzi e volgari, arriva addirittura a masturbarsi in scena quando Elettra si ricongiunge carnalmente con il fratello Oreste.
Eppure da quello che sostiene Elettra, suo marito la rispetta, tanto che ella, dice, è vergine ma mi è difficile crederlo visto come è stato costruito il personaggio del convivente-marito di Elettra, uomo atroce, vigoroso, carnale e beffardo. D’altro canto Elettra non è da meno, la sua sessualità è presente con tutti gli uomini dal sangue reale, sia con il fratello Oreste con il quale si ricongiunge in una zuffa dalle tensioni sessuali sia con il corpo defunto di Egisto, cavalcandolo.
La scenografia è una visione di rete, il cui coro è rappresentato da Gabriele Barbetti e Miriam Costamagna. I due sembrano essere dei piccoli moscerini accartocciati ed intrappolati che saltellando da una parte all’altra in questo groviglio intessuto, fanno eco ai pensieri di morte che Oreste ma sopratutto Elettra hanno filato nel tempo. I fili dell’odio si sono ispessiti a tal punto che si sono trasformati proprio nella casa in cui Elettra ha potuto tramare l’assassino di sua madre e del suo nuovo marito nonché nuovo re. Elettra infatti si presenta fin da subito come una casalinga, intenta a fare il bucato, vive tra la polvere e la sporcizia, i ragni e gli insetti sono i suoi più intimi amici. Quest’immagine di questa Elettra sudicia e schiava dei lavori domestici mi rimanda immediatamente a Paola Masino ed in special modo alla sua casalinga in “Nascita e morte della massaia”. Come Clitemestra, la madre della protagonista del romanzo di Masino, si era dimenticata d’educarla e perciò, isolata nella soffitta, la massaia (non ancora investita del suddetto ruolo) aveva provveduto fin da bambina a crearsi uno spazio tutto per sé, dove poter sperimentare liberamente la sua immaginazione nel baule entro il quale viveva. Circondata solamente da «groncioli di pane» di cui si nutriva, trascorreva la sua fanciullezza: «distesa in un baule che le fungeva da armadio, letto, credenza, tavola e stanza, pieno di brandelli di coperte, di tozzi, di pane, di libri e relitti di funerali, la bambina andava quotidianamente catalogando pensieri di morte2». La piccola massaia decide molto presto di auto-isolarsi, in un mondo dove la madre non può intervenire poiché rappresenterebbe tutto ciò che la piccola massaia rifugge, ovvero: matrimonio, pulizia della persona e della casa, prolificazione e attesa.
Così la bambina, per anni, decide di vivere nel suo isolamento tra libri, polvere, croste di pane e sogni popolati da ragnatele che le soffocano la gola.
La differenza tra le due massaie sta nel destino e nel volere degli dei, quindi Elettra, cresciuta, si sentirà obbligata a vendicare la morte di suo padre Agamennone, uno degli uomini migliori di tutta la Grecia, ucciso per mano di sua madre e del suo amante.
Oreste, il fratello, interpretato da Andrea Lopez Nunes, è un personaggio debole e quasi succube al comando di Elettra. Eppure non si capisce come un uomo tanto debole (così viene interpretato in scena dall’attore), venga, al contrario, raccontato dal personaggio di Massimiliano Di Corato, come un energumeno scaltro, nell’atto di sviscerare un toro e di assassinare il patrigno. Un’altra fastidiosa incongruenza registica che non mi sono riuscita a spiegare.
Infine arriva Clitemestra, rappresentata magnificamente da Giulia Bisinella.
Clitemestra è bella, altera, forte e coraggiosa. Bisinella riesce magistralmente ad interpretare una madre che non ha rimorsi per ciò che ha fatto verso il padre di Oreste ed Elettra: la sua, spiega, è stata una scelta di vita, d’amore e di sopravvivenza. Non sopportava più i tradimenti del marito e la scelta terribile di Agamennone di sacrificare agli dei la figlia Ifigenia l’ha portata scientificamente ad eliminarlo con l’aiuto di Egisto. Clitemestra-Bisinella parla ad Elettra da donna a donna, forse in cuor suo spera che ora la figlia sia cresciuta e possa comprendere ed approvare le sue ragioni ma per la figlia il suo gesto è disgustoso ed inaccettabile, sopratutto perché l’ha portata ad essere confinata in una topaia come una serva, congiunta ad un marito che le fa ribrezzo. Sua madre le aveva dato la libertà, sua madre gliel’ha rubata e questo Elettra non lo può sopportare e come una bambina capricciosa a cui le è stato portato via il suo giocattolo preferito, batte i piedi, trema (sempre) e si dimena.
Nell’atto di morire, appare proiettato al centro dell’arcata principale dell’Olimpico la schiena di Clitemestra, posseduta da mani che le modellano l’incarnato ma non si capisce perché adesso Clitemestra abbia i capelli neri e lisci, quando invece Giulia Bisinella, Clitemestra, li ha chiari, soffici e ricci.
Ho pensato che i capelli scuri potevano essere una rappresentazione della figlia ma Elettra ha i capelli corti e rossicci, poi un urlo, la morte, il video si spegne, gli ultimi versi declamati dai fratelli risultano noiosi, volgo l’attenzione al cielo azzurro con nuvole del soffitto del teatro Olimpico e mi rincuoro con la visione dei bellissimi incarnati delle statue dello Scamozzi e poi la fine con la musica sparata altissima dei The Doors “When the music is over” che ci proietta subito ad un immaginario hippies e alle proteste per la fine della guerra in Vietnam; anche questa scelta per me davvero insensata e ai poveri attori manco la grazia di sentirsi applaudire visto l’esagerato volume della musica.
1 V. ALFIERI, Parere sull’arte comica in Italia, in Parere sulle tragedie e altre prose critiche, a cura di M. Pagliai, Asti, Casa d’Alfieri, 1978, cit., p. 241
2 Paola Masino, Nascita e morte della massaia, Con uno scritto di Marina Zancan, Milano, Isbn edizioni, 2013, p.10