Fin dai primi istanti dello spettacolo, Paolo Rossi dichiara in silenzio di aver portato al Teatro Astra di Torino la più genuina delle costruzioni sceniche, nell’interazione tra chitarra elettrica (musica, ritmo, movimento) e mimo (attore, interpretazione, coordinamento).
Quindi, l’interazione tocca il pubblico, ammonendolo circa la natura votata all’improvvisazione di un certo “fare teatro”, sintesi di musica e interpretazione, ritmo e coordinamento. È il programma di scena a rivelare il segreto che permette a Rossi e alla sua compagnia “improvvisata” di attori di reggere il gioco della finzione appoggiandosi soltanto a un canovaccio (non già il testo scritto da Giorgia Rossi e Emilio Russo), e rendere “lo spettacolo nuovo ogni sera”: nel suo folle tentativo di assumere il potere a Versailles, opulente simbolo di incontrastabile potenza, il Re Anarchico Paolo Rossi ha redatto 4 regole sul teatro:
1. È proibito raccontare in qualsiasi forma una storia se non la si è vissuta più o meno direttamente: Rossi parla di sé, del proprio vissuto privato – sotto pesanti veli di cinismo e auto-satira – e del proprio vissuto pubblico ed esplicito, rievocando episodi noti e meno noti delle sue comparsate in Tv. L’intera pièce ruota intorno a lui, o meglio intorno al suo inconscio proiettato sul palcoscenico nella carne degli attori Marco Ripoldi, Renato Avallone, Marianna Folli, Chiara Tomei, Francesca Astrei e Caterina Gabanella, sei personaggi giunti sul palcoscenico non per cercare un autore (il riferimento a Pirandello appare fugacemente) ma per restituire all’improvvisazione dell’autore una sostanza scenica. La partenza per Versailles e le intenzioni di sostituirsi a quel potere assolutistico esprimono il dichiarato intento di Rossi di superare gli stilemi della satira. Come un giullare stanco di intrattenere i papaveri della corte che ambisce al loro potere.
2. È doveroso per il commediante essere anche improvvisatore: la regola più arbitraria e più esclamata è anche quella più facilmente mascherabile dalla finzione. Lo spettacolo di Rossi ha il fascino irresistibile del work in progress, ma riesce difficile credere che sia davvero tutto improvvisato (neanche quando il petulante regista rimprovera i suoi sciagurati sei personaggi di uscire dal ruolo o dal tema): l’improvvisazione di questo arguto gioco meta-teatrale è soltanto un altro espediente della finzione. Forse, non servirebbe a nulla tornare per la replica del giorno successivo aspettandosi di assistere a uno “spettacolo nuovo ogni sera”, come lascia intendere lo stesso Rossi raccontando l’aneddoto della “Sindrome di Netflix”: gli spettatori ritornano a vedere Aspettando Godot nella speranza che alla replica successiva (l’episodio successivo) il misterioso personaggio si presenti a Vladimiro ed Estragone.
3. Il testo è la corda sospesa nel nulla, ma lui [il commediante] ama il vuoto e non cerca l’equilibrio ma l’inciampo: come il sogno della presa a Versailles del Re Anarchico Paolo Rossi, anche l’improvvisazione è un flusso. Quello che può sembrare un banale pretesto formale per imbastire uno spettacolo satirico è in realtà un’acuta riflessione sul teatro e sull’arte, e sul loro rapporto con la vita: ne Il Re anarchico e i fuorilegge di Versailles non esiste alcuna logica narrativa, sull’impianto onirico del testo prevale il caos della vita nel suo continuo divenire. È l’improvvisazione che segue l’inciampo a caratterizzare la vita e il teatro, non l’ordine sequenziale che scandisce pedissequamente il testo scritto e invariabile.
4. Vada come vada, per il teatrante la vita è stare sul palco, tutto il resto è solo una replica. Rossi si pone al centro della scena, simulando il sogno dell’incontro e del reclutamento di una compagnia di attori da portare con sé alla volta di Versailles. Non i sei pirandelliani personaggi in cerca d’autore, si diceva, piuttosto sei diverse incarnazioni delle personalità dell’autore stesso, Paolo Rossi. Gli artifici prescelti per rappresentare questa variabilità fanno abbondante uso della comunicazione multilingue, caratterizzando i personaggi ora con il francese, ora con lo spagnolo, ora con il tedesco, e della continua interazione con il sottofondo musicale della chitarra (Emanuele Dell’Aquila) e del contrabbasso (Alex Orciari) – due personaggi ulteriori a pieno diritto.
L’ultimo personaggio a comparire dalle quinte dell’inconscio di Paolo Rossi è, indicativamente, La Morte: una Morte in bianco e priva di falce, la manifestazione della morte del teatro, che dal momento in cui viene privato dell’improvvisazione, la sua scintilla vitale, viene cristallizzato nel testo, inerte, romanticamente sublime come la morte in scena di Molière. Il canovaccio della vita predomina ponendo la parola fine all’improvvisazione.
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Il Re anarchico e i fuorilegge di Versailles
scritto da Giorgia Rossi e Emilio Russo
regia di Paolo Rossi
con Paolo Rossi, Marco Ripoldi, Renato Avallone, Marianna Folli, Chiara Tomei, Francesca Astrei, Caterina Gabanella
musiche dal vivo Emanuele Dell’Aquila, Alex Orciari
luci Elena Vastano
suoni Carlo Ferrara
produzione Tieffe Teatro Milano