La XX edizione del Festival Flautissimo ha preso il via il 23 ottobre con il racconto di un’impresa memorabile, l’attraversamento delle Twin Towers di New York.
Philippe Petit, ragazzo dalla fanciullezza turbolenta, a 17 anni si affranca dalla famiglia con la vocazione del funambolo, espulso più volte dalla scuola per aver borseggiato gli insegnanti, arrestato numerosissime volte, attratto dalle esperienze estreme e clandestine.
Librarsi su una fune a diversi metri da terra senza cavi di protezione soddisfa il suo anelito di libertà, una spinta verso l’alto che si oppone alla forza di gravità, che lo lancia oltre le nuvole verso il cielo.
Sfogliando un giorno dal dentista una rivista con le immagini delle Torri Gemelle appena inaugurate con la magnificenza dei loro 110 piani e oltre 400 metri di altezza, cento più della Tour Eiffel, Philippe sente che quella sarà la sua prossima sfida. In alto, sempre più, sospeso sul brulichio della città alle prime luci dell’alba, in compagnai di un’asta come bilanciere sostenuto dalla sua temerarietà. Il mondo, all’oscuro dell’impresa, si sveglierà vedendolo attraversare quello spazio vuoto.
L’operazione richiede un meticoloso lavoro di preparazione per progettare l’attrezzatura e trasportarla sulle torri eludendo tutta la sorveglianza, in un’impresa epica effettuata in totale solitudine.
La mattina del 7 agosto 1974 i newyorchesi che percorrono freneticamente le strade di Manhattan puntano esterrefatti gli occhi al cielo. A 412 metri dal suolo Philippe cammina su un cavo d’acciaio di 3 centimetri, tenendo in mano solo un’asta per mantenersi in equilibrio. La sfida lo esalta, raggiunge l’altra torre e torna indietro. È facile, è entusiasmante, è esaltante continuare, nessuno può fermarlo così va avanti e indietro otto volte per 45 minuti lungo i 60 metri che separano i due giganti, con la testa oltre le nuvole.
D’altronde, aveva già attraversato i campanili di Notre Dame a Parigi, le cime dei piloni nord dell’Harbour Bridge di Sidney, le cascate del Niagara.
L’impresa leggendaria verrà raccontata nel libro “The Walk” in cui il funambolo descrive le fasi dell’ideazione e preparazione in clandestinità, con l’aiuto di pochi complici necessari per trasportare il materiale e tendere il cavo, tutto studiato meticolosamente come l’assalto a un caveau in una lotta contro il tempo e gli imprevisti. Senza coperture economiche e senza sponsor, sapendo di essere arrestato appena messo piede in strada, solo per il gusto di toccare le nuvole.
La scrittura di Philippe Petit è un crescendo di tensione, dall’ispirazione al reclutamento dei complici e ai sopralluoghi clandestini in due anni di preparazione difficoltosa, fino all’attuazione liberatoria: “Il funambolismo non sarà mai uno sport. Lo sport lo si fa per divertimento, per competere, non ha la profondità di un’arte. Io faccio teatro nel cielo. E questo in solitudine. In qualunque artista che si appassioni alla propria arte c’è sempre solitudine. È importante essere soli”.
La lettura di Massimo Popolizio percorre tutti i registri espressivi rendendo palpabile l’entusiasmo, l’ansia, la caparbietà, il coraggio, la temerarietà, l’inquietudine e l’estasi del volo, mentre il pubblico in platea si sente in sintonia con i centomila newyorchesi che palpitano sotto quel cavo sottile, tra gli intermezzi di Javier Girotto che esegue assolo al flauto su musiche di sua composizione.
Altre angosce terranno, anni dopo, gli occhi del mondo incollati su quelle torri che ci piace ricordare così, come due piloni sospesi sul sogno.