“Dovendo esprimere l’inesprimibile, la morte non ha parole, e perciò ne usa in gran quantità nel tentativo disperato di dare espressione a ciò che sfugge alla logica, al buonsenso, all’ordine del discorso che, pur essendo per sua natura tragicamente episodico, finge di essere completo. Si va da una frase all’altra nel tentativo di catturare l’evento, si ricorre persino al silenzio per dare all’evento maggiore intensità. Il linguaggio si rivela così convenzione, strumento corruttibile nelle nostre mani e lungi dall’essere il mezzo più efficace qualora l’obiettivo fosse la vera e pura comunicazione”. (Simone Perinelli)
YORICK. Un Amleto dal sottosuolo, il titolo di questa prima nazionale al Teatro Era di Pontedera, con Simone Perinelli, ideatore e unico protagonista sulla scena, prodotto dalla Fondazione Teatro della Toscana e dalla compagnia de Leviedelfool, che ritorna dopo altre sperimentazioni teatrali come Requiem for Pinocchio, Luna Park, Made in China, Heretico, a provocare e suscitare nello spettatore emozioni oblique, che provengono dalle stesse possibilità del teatro di farsi cassa di risonanza surreale di emozioni e travisamenti.
“Questo lo sanno bene i buffoni, funamboli del senso e della parola, tanto che il loro dire il vero non è poi così necessariamente essenziale, anzi, si alterna indifferentemente a espressioni di stupidità, pazzia o bizzaria e per un attimo, solo per quell’attimo in cui parla il “matto”, il sasso diviene più prezioso del diamante più puro. Il vento del Fool sparpaglia oggetti e significati, eppure nella confusione che ingenera lascia intravedere stralci di quell’infinito che si contrappone alla nostra possibilità di comprenderlo”. (Simone Perinelli)
Yorick, nel classico della tragedia shakespeariana, è il buffone di corte o più precisamente quello che ne resta, mentre Amleto, in preda alla sua ludica follia, ne sostiene con la mano il teschio, rimembrando il suo passato infantile di giochi e spensieratezza, allietato dalla sua compagnia e fantasia senza pari. Un’immagine solo evocata dalle parole di Amleto che si frappone violentemente con la realtà del teschio, con tutto il suo gravido peso di domande esistenziali, con i suoi occhi cavi che sanno assorbire ogni prospettiva dei vivi.
“Dove sono adesso le tue beffe? i tuoi versacci? le tue canzoni? le tue follie che provocavano tante risa dai convitati? Neppur più un ghigno per isbertare questo tuo ceffo? Scarno, interamente scarno?” (Da Amleto, William Shakespeare)
Nell’Amleto Yorick fa la sua comparsa rimanendo sullo sfondo della non esistenza. Il luogo del suo abitare è il cimitero e anche la sola memoria di Amleto, anch’essa resa vuota e lugubre dagli spettri, dall’assassinio e dal suicidio del suo amore. Yorick c’è proprio come assenza. È un personaggio della coscienza, un monito e un’ombra, nulla più. Il suo peso nell’economia della scena è abissale come lo struggimento che la sua immagine denudata dalle apparenze porta con sé. In un certo senso Yorick diventa lo stesso Amleto e viceversa. La follia sofferta di Amleto viene silenziosamente accostata alla follia buffa del giullare di corte. La libertà espressiva in un mondo convenzionale, sorretto da intrighi e misteri come quello della corte di Danimarca in cui è ambientata la tragedia, è perciò stessa folle e parossistica.
“Pronunciata da un matto, la parola assertiva diventa già da subito una parola immaginaria e viene sospeso il suo riferimento al mondo e rende il Fool la possibilità di uno sguardo da un altrove dagli altri non pensato, uno sguardo obliquo che, solo modificando l’orientamento del mondo potrebbe divenire dritto esso stesso”. (Simone Perinelli)
Quello che accade quindi in questo spettacolo non è altro che reimmettersi nel solco ideale lasciato dal testo originale e con giocosa assurdità dare voce Amletica a chi era stato solo un contraltare di Amleto. Yorick è morto, ma dal sottosuolo continua a portare sulle spalle le amletiche questioni che il suo principe portava con sé. Amleto è vivo, a tal punto da assorbire l’al di qua nell’al di là. Il gioco di specchi e di spettri continua, i travestimenti della follia e della vita si fanno più arditi e insensati. Sarà addirittura il caso che ad essere vivo sia invece proprio il teschio Yorick e morto il principe Amleto in un teatrale ribaltamento di ruoli e significati quasi ai limiti della logica e oltre la ragione umana?
“Ecco dunque che le parole del buffone per eccellenza, talmente folle da mostrarsi al mondo sotto le spoglie di un teschio, non ci sono pervenute se non sotto forma di una sfida: immaginarle”. (Simone Perinelli)
Uno spettacolo di Leviedelfool, Con Simone Perinelli, Aiuto regia Isabella Rotolo, Musiche originali Massimiliano Setti e al violoncello Luca Tilli, Disegno luci e scene Fabio Giommarelli, Tecnico del suono Marco Gorini, Costumi Laura Bartelloni – Labàrt Design, Foto e video Manuela Giusto, Drammaturgia e regia Simone Perinelli, Produzione Fondazione Teatro della Toscana, Leviedelfool, Con il sostegno di Pilar Ternera / Nuovo Teatro delle Commedie e ALDES / SPAM!