Liberamente ispirato al mito del regno di Fanes
Con libere citazioni da Riane Eisler; Carol Gilligan; Ulrike Kindle; Giuliana Musso; Heinrich von Kleist; Christa Wolf
di e con Marta Cuscunà
progettazione e realizzazione animatronica Paola Villani
assistente alla regia Marco Rogante
co-produzione Centrale Fies, CSS Teatro stabile di innovazione del Friuli Venezia Giulia, Teatro Stabile
di Torino, São Luiz Teatro Municipal | Lisbona
in collaborazione con Teatro Stabile di Bolzano, A Tarumba Teatro de Marionetas | Lisbona
Marta Cuscunà fa parte del progetto Fies Factory di Centrale Fies
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Mi accade assai di rado di uscire da teatro completamente soddisfatta dello spettacolo appena visto, di solito trovo sempre qualche difetto, stonatura o qualche cosa che non mi ha convinta fino in fondo, ma non questa volta.
Ieri sera, al Teatro Astra di Vicenza, non solo io ma la maggior parte degli spettatori, dopo aver applaudito per quasi dieci minuti, non riuscivamo ad alzarci dalle poltrone del teatro: pietrificati, sconvolti, sbalorditi, pieni di curiosità e domande… queste erano le facce del pubblico al termine dello spettacolo.
Marta Cuscunà è riuscita ancora una volta ad incantarmi e a farmi rimanere per un’ora con la bocca spalancata, come una bambina ipnotizzata, emozionata e sbalordita allo stesso tempo.
Ma andiamo con ordine: “Il canto della caduta” è un canto di guerra dove si narra la storia del popolo di Fanes, e di come ad un certo punto il re padre per liberarsi della figlia Dolasilla (che raggiunta la maggiore età sarebbe diventata regina e avrebbe continuato la tradizione e la dinastia matrilineare, fino a quel momento esistente), viene obbligata dal padre stesso ad entrare in guerra. Finché stanca e straziata dalla violenza delle battaglie, Dolasilla decide di non voler più combattere ma questo non la salverà, poiché suo padre, avido conquistatore di terre, stringerà un’alleanza maledetta con i suoi stessi nemici e maledirà con una stregoneria la figlia per farla soccombere in una delle battaglia. Il re inoltre obbligherà ad un certo punto anche donne e bambini a combattere: non ne rimarrà nessuno. Il regno di Fanes, fino a quel momento governato solo da regine di pace, si estinguerà per colpa di un unico re, avido, al potere, perdendo per sempre la storia di un matriarcato possibile, dove tutti erano liberi ed uguali di esistere in pace ed armonia.
Il coro è rappresentato da Martà Cuscunà attraverso quattro enormi marionette-corvi, costruite dalla bravissima Paola Villani, che con cinismo ed ironia, commentano la battaglia dall’alto. I corvi sono spietati ed ingordi, pregano che non ci sia mai pace, altrimenti non ci sarà più abbondanza di carne per loro, ma sono così buffi ed idioti che nonostante l’orrore della guerra da loro raccontato nei minimi dettagli (comprese descrizioni di sangue e carne umana trafitta), è impossibile non ridere al loro linguaggio “uccellesco” e beffardo.
Marta Cuscunà riesce a creare quattro personaggi meravigliosi e grotteschi, ognuno con una voce ed un carattere completamente diverso dall’altro.
Sottoterra invece, da contraltare, due bambini-marionette, travestiti da topi (i cecchini non sparano ai topi), imprigionati nelle viscere del regno, aspettando “il tempo promesso” dalla dea, in cui la pace ritornerà. Il cibo però scarseggia, non ci sono adulti e i due bambini tra la paura, la sporcizia e l’isolamento, decidono infine di uscire allo scoperto. Alla fine commenteranno, beccando, i corvi, ormai davanti solo un deserto, un olocausto di piccoli umani, gli ultimi a sopravvivere e gli ultimissimi ad essere sterminati, mai prima d’ora diranno: “avremmo pensato di mangiare carne di bambino” eppur, mangiano…
Al centro del palcoscenico un televisore a spezzare la favola ed il racconto delle marionette animatroniche, dei corvi sopra e dei bambini-topi sotto.
Le video-installazioni proiettate sono di Andrea Pizzalis, figura poliedrica nel panorama della ricerca sulle arti performative; l’ambiente sonoro è stato creato dal sound designer e produttore Michele Braga, lighting design da Claudio “Poldo” Parrino mentre l’esecuzione dal vivo di luci, audio e video è diretta da Marco Rogante. Le domande che vi appaiono sono liberamente ispirate ai testi e citazioni di Riane Eisler, Carol Gilligan, Ulrike Kindle, Giuliana Musso, Heinrich von Kleist e Christa Wolf.
Marta Cuscunà continua così, con “Il canto della caduta”, la sua linea di storie al femminile, questa volta mettendo in scena una favola che racconta la fine di un’era dove le donne governavano i popoli in pace e prosperità.
È mai esistito un regno così?
Secondo l’archeomitologa lituana Marija Gimbutasche sì, e ne parla nel nel saggio “Il linguaggio della Dea” nel quale ricostruisce una possibile Europa neolitica abitata da società prevalentemente egualitarie e pacifiche, in cui il rapporto fra generi era paritario e il femminile era sacro perché creatore e costruttore di vita.
Marta Cuscunà ed “Il canto della caduta” sono, per me, da premio Ubu.