«Mi inquietano la malattia, il corpo che si trasforma, i segni delle battaglie»
Emma Dante, su Repubblica
Attorno alle rive del Tevere la vita nasce, le sue forme non sempre usuali colpiscono l’osservatore che come in un sogno ne rimane rapito. Al di là del ponte dell’Industria, in una strada appartata, emerge il Teatro India; lo spettatore che avrà la fortuna di capitarvi prima dell’11 novembre potrà godere delle sue forme e di ciò che il suo bacino in questo momento ospita: “La Scortecata”, in una contemporanea visione data da Emma Dante. La regista riprende una fiaba antica che tra i ghirigori del barocco e la lingua sporca delle strade di Napoli è stata trascritta nel 1634 da Giambattista Basile, autore che la pone in una raccolta di cinquanta fiabe il cui nome è “Lo cunto de li cunti overo lo trattenemiento de peccerille”.
Sedendosi in platea lo spettatore nota subito la particolare presenza di due sorelle anziane: Carolina e Rusinella, sedute tranquille in una casetta sul pendio della valle del Re. Scopriamo seguendole nei loro discorsi che il sovrano in un impeto di immaginazione si è invaghito della gambe storte di Carolina la cui voce lo ha carpito. Il Re senza aver mai visto la fanciulla, crede che sia la più gustosa delle delizie, così senza alcuna ombra di dubbio inizia la corsa alla conquista, e allo stesso modo Carolina e Rusinella iniziano a tramare la tela dei loro inganni, escogitando piani sempre più arzigogolati per non far scoprire a lu Rè le fattezze della quasi centenaria sorella.
Nel gioco dei camuffamenti ci rendiamo conto di come il Re sia una parte interna alle due donne , una voce di rivalsa cieca che chiede di essere ascoltata per poter godere di un tempo che non è più reale ma che nell’illusione trova la sua pace. Nel cuore delle due donne non si è spenta la speranza dell’Amore e del desiderio mai goduto e si fa avanti una negazione profonda del proprio stato che dona le giuste parole al Re: “Chi sequestra il tesoro di questa bella faccia dentro a un cesso? Chi fa fare la quarantena a questa bella mercanzia dentro a una tana? Chi tiene prigioniera la potenza d’Amore dentro a questo porcile? Vieni via da questo buco, scappa da questa stalla, esci da questo buco”.
Il corpo raggrinzito, le ossa sghangherate, l’alito fetoso chiudono fuori dal fiore della giovinezza Carolina e Rusinella in cui la costante negazione del vero diviene commedia, risate, scherno. La fuga nell’illusione, la ricerca di una giovinezza non vissuta come si sarebbe voluta, il tiro alla fune tra le due sorelle diviene un modo per fuggire dal dolore di un passato in cui il piacere gli è stato negato, un appiglio esistenziale in un oceano corporeo che va alla deriva e che sul domani non ha più speranza.
Il discorso che Emma Dante porta a teatro è una sottolineatura in grassetto sulla parola “vita” che ha in sé stessa il decadimento, la vecchiaia, la morte, ma non solo, la fiaba de “La Scortecata” ci parla di un miraggio, di un qualcosa che in giovinezza si pensava sarebbe potuto arrivare in futuro ma che nel futuro non è arrivato lasciando l’amaro in un animo ostinato nel credere possibile ciò che oramai è al di là del visibile.
Ne “La Scortecata” danno prova della propria forza scenica Carmine Maringola e Salvatore D’Onofrio, due uomini che come nelle tradizioni più antiche vanno ad interpretate ruoli femminili nonché maschili. Emma Dante si manifesta qui come un’attenta osservatrice capace di comprendere quale ruolo sia più calzante per la fisionomia e la struttura scenica dell’attore andando a lavorare profondamente sul ruolo del corpo nell’espressione del soggetto. Carmine Maringola diviene Carolina un’anziana signora alla soglia dei cento anni, Salvatore D’Onofrio è invece Rusinella la sorella maggiore che supporta la minore negli inganni al Re. La Regista ci conduce nella quotidianità delle due sorelle aggiungendo dialoghi ai loro atti per rendere maggiormente commestibile una fiaba che altrimenti sarebbe risultata a tratti ermetica. Gli appigli scenici posti sul palco: le sedie, il castello formato bambina, la porta ora lasciata a terra ora sorretta, divengono una chiave di lettura per la comprensione della fiaba, e allo stesso tempo sono un escamotage attraverso cui lo spettacolo acquisisce ritmo portando lo spettatore ad un’attenzione genuina, curiosa come quella di un bambino che non sapendo cosa aspettarsi è pronto ad accoglierlo.
La trasformazione corporea e scenica sono elementi cardine nel linguaggio dantiano che va a creare una fiaba all’interno della fiaba, lo spettatore riesce a riconoscere attimo dopo attimo chi ha di fronte: ora Rusalina con quelle movenze civettuole ora il Re nel suo impeto forsennato, ora Carolina con la propria miseria ora una Regina nella propria lussuria. L’uso del dialetto napoletano colmo di espressioni popolari, proverbi comuni e parole volgari esprime perfettamente l’idea di una fiaba che si fa sberleffo del tragico rendendolo commedia. Ne “La Scortecata” della Dante la scelta delle parole, la rielaborazione e la costruzione di alcune realtà donano colore alla scena che sulle fondamenta di un’ottima struttura recitativa e registica, nonché musicale, porta all’emersione di una vecchia invettiva che ruota intorno a quella dea detta vanità, e a quell’inseguire il vento che porta le donne e gli uomini a smarrire il senso della loro storia dimenticandosi che:
“Ciò che è storto non si può raddrizzare
e quel che manca non si può contare”
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La Scortecataliberamente tratto da lo cunto de li cunti di Giambattista Basile
testo e regia Emma Dante
con Salvatore D’Onofrio, Carmine Maringola
elementi scenici e costumi Emma Dante
luci Cristian Zucaro
produzione Festival di Spoleto 60, Teatro Biondo di Palermo
in collaborazione con Atto Unico, Compagnia Sud Costa Occidentale