Ne La strada, di scena al Teatro Vascello, il giovane Guglielmo Poggi – già vincitore del Nastro d’argento 2018 come migliore attore esordiente protagonista – anima sapientemente una scena spoglia, davanti a un fondale bianco e nero allestito a pieno schermo dal regista napoletano, Stefano Cioffi, assieme all’allusiva varietà tonale della chitarra elettrica (blues, country, fusion) di Francesco Berretti. “La strada” è il misurato adattamento dall’omonimo romanzo Western noir di Cormac McCarthy che dimostra che non sono necessarie grandi produzioni per confezionare una pièce efficace e costruita sull’intensa interpretazione di un copione di elevata qualità letteraria.
Il testo dello scrittore statunitense, già vincitore del premio Pulitzer 207 e ben valorizzato al cinema da John Hillcoat, vede un padre malato e un figlio muoversi tra le rovine di un mondo ridotto in cenere, in una foresta buia devastata da una catastrofe ambientale e umanitaria, ben resa dalle riprese del regista su una campagna fumante che fa pensare alle esalazioni del napalm, della terra dei fuochi o semplicemente a una naturale foschia in cui si insinuano, a tratti, visioni spettrali di magazzini fatiscenti e abbandonati.
Guglielmo Poggi è un vero acrobata a dar voce al padre in dialogo con il suo bambino, nella loro fuga verso un Sud-Ovest indefinito, anche se, il virtuosismo della sua interpretazione li riunisce perfettamente in un solo corpo, come dimostrano anche gli abiti di scena, dove la giacca grigio-verde dei soldati confederati lascia intravedere i pantaloni corti del ragazzo.
Il dialogo portante del padre e del figlio è solo il primo della straordinaria serie di voci che entrano nel monologo plurivoco ventriloquo di Poggi, il quale pare aver fatto tesoro della grande scuola di Luigi Proietti, imponendosi sul palco, in una grande prova d’attore carica di concentrazione interpretativa e di energia evocativa.
Mentre passa con disinvoltura dalla voce narrante a quella del padre e a quella più infantile del bambino, il suo racconto registra anche lo sfinimento della madre del piccolo, la quale preferisce un brusco commiato alla lotta per la sopravvivenza, senza contare gli accenti più cialtroneschi dei diversi ladri, criminali e cannibali che padre e figlio devono lasciarsi sommariamente alle spalle per non incorrere in nuovi rischi.
Il loro viaggio è un inno all’amore paterno, pieno di cautela e di dolore, nel cammino condiviso col figlio verso un futuro non più immaginabile, su una strada insidiosa e variamente segnata dalla sconfitta e da un epilogo drammatico che affida al bambino la speranza che la strada resti ancora aperta, sebbene interrotta e accidentata da tutte le guerre, dai disastri ambientali, dagli esodi senza ritorno e dalla relativa decimazione dei popoli.