Valter Malosti gioca in casa, nella tripla veste di Direttore artistico della Fondazione TPE, regista e interprete protagonista del Misantropo di Molière. Lo spettacolo si mantiene fedele alla vena tragicomica impressa dal suo autore nel XVII secolo, conservandone tanto l’implicita polemica al potere assolutista del Re Sole presso cui Molière servì come buffone quanto l’acuta riflessione sulla parallela “guerra tra poveri” della società umana.
L’attualizzazione di Malosti del disgusto di Alceste per le ipocrisie e la presuntuosità, adattata a quattro mani con l’autore Fabrizio Sinisi, dipinge sul palcoscenico del Teatro Astra di Torino uno spettacolo molto visivo, caratterizzato dal gusto per l’assurdo di cui lo stesso Molière era precoce fautore. La regia di Malosti rifiuta le mode drammaturgiche del poliziesco e dello splatter (un misantropo mafioso o serial killer sarebbe apparso forse addirittura scontato), recuperando l’anima esistenziale che ha caratterizzato la nota autobiografica del testo.
Il piccolo, ricorrente dettaglio della regressione di Alceste/Malosti allo stato scimmiesco – non già un omaggio alla locandina realizzata da Simone Fugazzotto rimando con i suoi ritratti di scimmia che hanno caratterizzato la Stagione 18/19 del Teatro Astra – caratterizza questo Misantropo per il suo odio verso i propri simili quasi a un livello di questione biologica: meglio la genuinità dello stato brado alla sofisticatezza dell’essere umano.
L’odio e l’insofferenza di Alceste, dunque, sono rivolti anzitutto a se stesso. Il desiderio omologante nei confronti di un’umanità troppo individualista – che non sappia guardare oltre i propri diretti interessi – viene faticosamente digerito dal protagonista attraverso il confronto con un arazzo di personaggi e caratteri che culmina negli interventi cantati composti da Bruno De Franceschi (quasi un paradosso dell’arte che rimprovera se stessa della propria assenza di tangibilità) con l’accompagnamento del contrabbasso di Furio di Castro.
Alceste giullare incollerito, alter-ego del Molière sofferente per la subordinazione rispetto al Re Sole Luigi XIV, i cui tratti infantili ne esprimono un ego costantemente insoddisfatto per la propria posizione. Il ruolo di Molière e quello del Misantropo si tingono di un assurdo storico, riflettendo sulla rivolta dell’umanità rispetto alla disomogeneità di ruoli classi atteggiamenti livellati con la caduta dell’ancien régime.
Se si tratta si un Molière riveduto e corretto, adattato e rivoltato da Malosti e Sinisi, la sua polemica nei confronti di un odio assoluto – generato dagli artifici di diversità sociale – rimane a fare da sfondo inamovibile all’opera di attualizzazione. Alceste non è un eroe comico, ma non può essere neanche antieroe tragico, perché troppo umano – caratterizzato com’è da umane idiosincrasie e gelosie.
I suoi opposti di amore e odio si attraggono come magneti di un meccanismo pienamente assurdo: regredendo allo stato di primate, il Misantropo scimmia risolve la tensione assurda da cui sorge ogni ipocrisia e ogni pretesa di prevaricazione a danno di altri esseri umani, nell’abbandono del linguaggio come del seme dell’incomprensione, della diversità, dell’odio.
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Il misantropo
versione italiana e adattamento di Fabrizio Sinisi e Valter Malosti
regia di Valter Malosti
con Valter Malosti, Anna Della Rosa, Sara Bertelà, Edoardo Ribatto, Roberta Lanave, Paolo Giangrasso, Matteo Baiardi, Marcello Spinetta
costumi di Grazie Materia
scenografia di Gregorio Zurla
luci Francesco Dell’Elba
cura del movimento Alessio Maria Romano
assistente alla regia Elena Serra
canzone Bruno De Franceschi
contrabbasso Furio di Castro
produzione TPE – Teatro Piemonte Europa, Teatro Carcano Centro d’Arte Contemporanea, LuganoInScena