rito sonoro di e con Mariangela Gualtieri
con la guida di Cesare Ronconi
produzione Teatro Valdoca
con il contributo di Regione Emilia-Romagna, Comune di Cesena
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Le poesie recitate di Mariangela Gualtieri sono una medicina per l’anima, una culla per alleggerire la tensione quotidiana, un carillon di musica, di parole dolci che ammorbidiscono la confusione e la frenesia della mente.
Risuonano i versi di Mariangela Gualtieri nella semplicità della piccola chiesa sconsacrata, nello spazio intimo dell’AB23, la cui gestione da questo 2018 passa in mano alla Compagnia Theama Teatro di Vicenza con la collaborazione del Teatro Scientifico di Verona. Solo una musica di violini o di pianoforte segna lo stacco tra un gruppo di poesie e l’altro, giusto il tempo di farci assorbire la densità e la profondità della sua poetica.
Un’incantatrice potremmo definirla, Mariangela ha i tratti di una donna-bambina, con la voce un po’ roca di un’anziana signora. In lei sono presenti tutte assieme le tre età della vita, cosa assai rara al giorno d’oggi quando la società ci divide in modo netto a compartimenti stagni, dove l’eterna giovinezza sembra l’unica età a cui aspirare. Eppure Mariangela Gualtieri, ieri sera davanti a noi, è stata fanciulla giocosa, donna generatrice e saggia signora anziana allo stesso tempo. La sua freschezza è nello stupore con cui ancora scopre e inneggia all’amore, come qualcosa che non è ancora del tutto perduto e ancora riesce a sorprendersi quando gli esseri umani provano pietà. Il suo essere donna è pieno di grazia e presenza, si percepisce la madre terra, la magnificenza del creare e poi la saggezza di chi molto ha visto, ma senza essere dura ci racconta dei suoi sbagli, delle cose che prima erano importanti e adesso non lo sono più: come cambiano le priorità, come ci sembra quasi insignificante quello che prima era così importante.
Ci conforta e ci regala dolcezza, ci racconta di piccoli miracoli della vita, di paesaggi, di carezze, di odori di casa e di cieli immensi.
I suoi paesaggi sono quelli interiori come l’intimità della casa, ma anche quelli esteriori come i boschi, le valli, le colline verdeggianti dove ancora si scorgono cieli impregnati di magnifiche stelle. Tutto ciò non può che farci sognare.
Ma i suoi paesaggi sono anche gli stessi umani che colgo tra lo spazio del liquido amniotico del grembo e la frenesia del sangue che ribolle in chi lotta per il movimento, verso battaglie ancora da conquistare.
Il bisogno di ascoltarla mi appartiene: parole che ristorano, al di fuori del quotidiano, parole che ti elevano e ti trasportano in un’altra dimensione. Ecco il favoloso potere delle parole, Mariangela Gualtieri ha il potere e l’abilità. Lei sì che ha “parole di pace” anche se in una poesia ci rivela che crede di non possedere questo dono: falsa modestia? retaggio d’insicurezza femminile?
Ho adorato quando tra una poesia e l’altra ha raccontato di come è arrivata a scrivere certe poesie. Così facendo poi nel recitato, riuscivo maggiormente a calarmi in lei, nel suo sentire come quando racconta di aver letto un libro che studia la nascita dei fiori, nati solo 50 milioni di anni fa, età recentissima per la terra. E se prima non c’erano i fiori “quale cuore mancante / così traboccante di mancanza / quale giocosissima mente / è esplosa al suo centro / in colorati frammenti di sé / di se stessa pensante”.
O quando ci racconta la difficoltà dello stare insieme per tanti anni in coppia, sempre con la stessa persona (come nel suo caso). Quanta fatica, quanta rabbia ma anche quanta vita, quanto amore, quanti meravigliosi ricordi indelebili dentro di noi che costruiscono quello che siamo oggi.
Per circa un’ ora cavalchiamo frastornati ed ipnotizzati tra e dentro le sue parole che ci fanno barcollare. A volte cercavo disperata un appiglio. La potenza e la vastità degli immaginari da lei evocati raggiungono il mio immaginario d’infinito, potrei perdermi… Ecco allora che è bene arrivare ad un ringraziamento finale.
Il rito sonoro termina con la poesia Ringraziare, un cantico per dire grazie al creato, alla creazione dell’universo e di tutto quello che gli appartiene e di cui noi possiamo godere. Attraverso l’incipit di Borges, la poetessa s’inchina d’eterna riverenza di fronte ai versi già scritti, alle lucciole, al pane, al sale, all’arte dell’amicizia, al «mistero della rosa che prodiga colore e non lo vede», e a quell’«antico amor per l’amor che se move il sol e l’altre stelle. E muove tutto in noi».
Ritorniamo al suono originario. Non voglio andarmene. Adesso ho un solo pensiero per la mente: come sarebbe bello se le persone parlassero così anche mentre vanno a comperare il pane.
Vi lascio con una delle poesie più belle, da me preferite, che ieri sera Mariangela Gualtieri ci ha recitato.
“Sii dolce con me. Sii gentile.
È breve il tempo che resta. Poi
saremo scie luminosissime.
E quanta nostalgia avremo dell’umano. Come ora ne
abbiamo dell’infinità.
Ma non avremo le mani.
E nemmeno guance da sfiorare
leggere.
Una nostalgia d’imperfetto
ci gonfierà i fotoni lucenti.
Sii dolce con me.
Maneggiami con cura.
Abbi la cautela dei cristalli
con me e anche con te.
Quello che siamo
è prezioso più dell’opera blindata nei sotterranei
e affettivo e fragile. La vita ha bisogno
di un corpo per essere e tu sii dolce
con ogni corpo. Tocca leggermente
leggermente poggia il tuo piede
e abbi cura
di ogni meccanismo di volo
di ogni guizzo e volteggio
e maturazione e radice
e scorrere d’acqua e scatto
e becchettio e schiudersi o
svanire di foglie
fino al fenomeno
dalla fioritura,
fino al pezzo di carne sulla tavola
che è corpo mangiabile
per il tuo mio ardore d’essere qui.
Ringraziamo. Ogni tanto.
Sia placido questo nostro esserci-
questo essere corpi scelti
per l’incastro dei compagni
d’amore”.