Unici. Da quasi 300 anni. La Storia è passata davanti alle vetrine in Via Giuseppe Verdi 9, a Firenze, ma dentro la Bottega Filistrucchi il mondo gira ancora attorno alle parrucche e al trucco. Oggi, con Gabriele Filistrucchi e suo figlio Gherardo, come nel 1720 con Angelo, il capostipite della famiglia, 9 generazioni fa. “È un lavoro affascinante e difficile – afferma Gabriele – ci vuole pazienza, bisogna unire il cervello al cuore e alla mano. Michelangelo scrive a proposito del David: Non ha l’ottimo artista alcun concetto / c’un marmo solo in sé non circonscriva / col suo superchio, e solo a quello arriva / la man che ubbidisce all’intelletto. Naturalmente, non mi voglio paragonare al Buonarroti, sarei un presuntuoso. Però l’artigiano, a suo modo, è un artista.”
Del resto, all’epoca non c’erano scuole d’arte, si andava “a bottega” a imparare il mestiere. Proprio come hanno fatto Gabriele e Gherardo. “La passione mi è nata qui – conferma il giovane Filistrucchi – la capacità di creare è nella fantasia. Mi piace provare a stimolarla in mia figlia piccola, passando del tempo insieme in Bottega. Da grande farà come vorrà: la vita è sua e non deve essere la copia della mia.” “Anche Gherardo – interviene il padre – è stato libero di scegliere cosa fare.”
Essere consapevoli della propria libertà apre gli occhi sulla realtà non semplicemente per ciò che è, ma soprattutto per ciò che potrebbe essere. Un dialogo costante tra sé e gli altri, che non si attenua nemmeno se a parlarsi sono un padre e un figlio. Continua Gabriele: “Lavoriamo insieme fin da quando era bambino. Gherardo ha le sue idee, io ho le mie, ma è giusto così. “Scontrarsi” in modo costruttivo può portare soltanto cose buone.”
Andando indietro nel tempo, quando la storia si confonde con la leggenda, troviamo i Filistrucchi a servizio del Granduca di Toscana Gian Gastone de’ Medici. Apertamente omosessuale, ama truccarsi e acconciarsi con parrucche molto vistose. Una pratica nata in Francia con Luigi XIV, il Re Sole, che, diventando calvo, “avrebbe fatto della parrucca il segno della sua grandezza e il suo lascito al mondo”, per citare lo scrittore Philippe Beaussant. “Ha una parrucca di capelli biondi d’Alemagna – spiega Gherardo – ingentiliscono i lineamenti, sono una cornice dorata al suo volto. Si narra che a Versailles dovettero alzare le porte perché non ci passava. Con Luigi XVI la parrucca diviene uno status symbol: rimane famosa l’acconciatura della moglie del re, Maria Antonietta, con un’imbarcazione in capo. Alla fine del Settecento, la Rivoluzione fa cadere le teste e quindi le parrucche.”
I clienti dei maestri truccatori e parruccai, d’ora in avanti, non sono più i nobili, ma gli attori. Diderot, D’Alembert, inaugurano un nuovo modo di fare teatro, in cui l’interprete è chiamato a riprendere filologicamente l’epoca che si rappresenta. Non bastano più gli abiti forniti dalle corte reali, c’è bisogno di trucchi e parrucche. “Il teatro è finzione. Dunque, il nostro lavoro – illustra Gabriele – serve alla miglior trasformazione scenica dell’attore. Noi Filistrucchi cominciamo a lavorare per il Teatro Niccolini e il Teatro della Pergola, i più antichi di Firenze, d’Italia e forse del mondo. Nell’Ottocento – prosegue – prende campo la lirica e iniziamo a collaborare con Napoli, Palermo, La Scala di Milano, Parigi, Londra, fino all’Opera di Boston e al Metropolitan di New York, che abbiamo servito per circa 30 anni. Mi ricordo le ultime commesse, c’ero anch’io, pur non essendo così vecchio.”
Il rapporto con l’attore o il cantante è di profonda intimità e responsabilità. Un equilibrio che, una volta raggiunto, ti segue per tutta la vita, perché è alla base di nuove amicizie. “Noi “dipingiamo” – ragiona Gabriele – però, diversamente da un pittore, non lavoriamo su una superficie piana, ma a tutto tondo. La tecnica deve essere sostenuta dalla genialità e inventiva. Il rapporto che si crea – riconosce – è intimo. Confesso che il risultato non è molto buono, se ho davanti una persona con cui non ho feeling. Ma c’è quasi sempre. È il bello del nostro mestiere: siamo diventati amici con tanti artisti, il contatto tra noi rimane vivo nel tempo.”
Gabriele Filistrucchi ha lavorato con i più grandi dello spettacolo. Colui che gli è entrato nel cuore e non ne è più uscito è Franco Zeffirelli. “Mi ha dato molto – rammenta – mi chiamano nell’84 a fare il capotrucco al Teatro Comunale di Firenze. Sono un “giovane” truccatore: quando l’ho saputo mi sono sentito quasi male. Invece, Zeffirelli mi mette subito a mio agio, creando un rapporto di parità. Mangiamo, beviamo insieme, non c’è nessuna sudditanza, anzi, nasce un’amicizia. Abbiamo lavorato insieme ai Mondiali di Italia ‘90 e in mille altre occasioni. Gli voglio molto bene, il ricordo che ho di lui non passerà mai.”
Nel secolo scorso, accanto al palcoscenico, si fa avanti un nuovo protagonista: il cinema. I primi stabilimenti sono a Rifredi. Poi, da Firenze i riflettori si spostano a Tirrenia, in provincia di Pisa, e da lì, su impulso di Mussolini, a Roma, a Cinecittà. “Il cinema è stata un’esperienza inedita per noi – ammette Gherardo – per fare le parrucche adoperiamo pressappoco gli stessi strumenti del Settecento; tecniche e materiali sono cambiati radicalmente per il trucco, a causa dell’uso degli effetti speciali importato dall’America. Ferite, tagli, ustioni, sangue, cadaveri, prima non c’erano, la violenza in scena non veniva rappresentata. Abbiamo imparato a farli e siamo diventati molto bravi.”
Il segreto della longevità della Bottega Filistrucchi è lo studio e la capacità di interpretare il cambiamento dei tempi, restando fedeli all’eccellenza di ciò che si è e si sa. Questo li ha portati a esercitare il loro talento in un ambito inimmaginabile, ma altrettanto spettacolare: il sociale, le Pubbliche Assistenze, il Centro Ustioni dell’Ospedale fiorentino Meyer, l’Istituto Sant’Anna e la neonatologia di Pisa. “Gherardo – racconta il padre – è stato chiamato a fare delle ustioni su manichini di simulazione neonatale. Ricreiamo incidenti stradali o domestici, così i volontari di primo soccorso imparano come intervenire.” A Pisa viene operato un bambino di un angioma: a Gabriele Filistrucchi viene chiesto di ricreare l’angioma in lattice su uno di quei manichini. “Avevo soltanto la fotografia – commenta – c’è voluto un mese, ma ho amato realizzarlo, non gliel’ho nemmeno fatto pagare. So che è stato esposto a un congresso internazionale e ha ricevuto l’applauso. Mi è bastato questo.” Va avanti: “Facciamo parrucche per chi perde i capelli, per malattia, per la chemioterapia. È un aiuto psicologico: se una persona si vede bene, reagisce meglio alle cure.”
Da un mero segno estetico, trucco e parrucche acquistano quindi un valore umanitario, servono a prendersi cura della propria interiorità piuttosto che dell’apparenza. Guardano al presente, con gli occhi rivolti al futuro. “La Bottega fa anche da scuola – dicono Gabriele e Gherardo Filistrucchi – la sfida più importante è far capire ai giovani cos’è l’arte. È sconvolgente che oggi non ci sia più il gusto per saper distinguere ciò che vale da ciò che è da buttare. Bisognare tornare a educare i ragazzi alla cultura del bello e del buono.”
In definitiva, se l’Italia fosse loro cliente che trucco o parrucca le consiglierebbero per vedersi e sentirsi migliore? “Un giorno l’Unità mi ha posto la stessa domanda – conclude Gabriele – rispondo come allora: vorrei fare un trucco che rendesse le persone meno stupide.”