Un’impresa non da poco trattare uno dei temi cardine della società, quello della famiglia – cellula fondamentale della vita sociale – nel cui ambito nasce, cresce e si forma quell’insieme di individui i quali rappresentano il domani che si ipotizza, si vuole e si spera essere sempre diverso e migliore del passato e del presente. Guarda caso, però, che le generazioni di ieri, in primis i genitori e poi i nonni e via a ritroso sentenziano il contrario, cioè che è il passato a essere più valido, vivibile e morale rispetto all’oggi.
Un vero rebus! In quest’ardua impresa si cimenta Mario Perrotta, leccese classe 1970, attore, regista e drammaturgo conosciuto, affermato e premiato nonché padre e quindi coinvolto in prima persona nell’importante, difficile e delicato compito genitoriale per il quale non esistono scuole o ricette o pagine di internet certe che rivelino del tutto un arcano insoluto da secoli… eppure si è provato di tutto e tutti hanno detto la loro.
Perrotta da lustri ha messo in atto con successo un teatro da solista in cui oltre a essere attore e regista è anche autore dei testi, spesso supportato da consulenti ed esperti nelle tematiche trattate.
In questo caso, si cimenta sull’argomento ‘famiglia con prole’ in cui è parte in causa e che affronta con estrema serietà e impegno analizzandone apprensioni, sfide e paure tanto da avere approntato un nuovo e intrigante progetto: i millenial (termine che dovrebbe indicare al di là di micro divergenze chi è nato nell’ultimo ventennio del secolo scorso e che comunque va preso con le pinze perché ciascuno di noi è figlio di ciò che percepisce e fa proprio delle varie epoche che attraversa). Si tratta di una trilogia volta ad analizzare prima la figura del padre, poi quella della madre e successivamente quella del figlio, quindi relativa alla famiglia contemporanea in una società in cui non sempre le famiglie hanno trasmesso valori o perché mancavano nel passato o per timore di apparire troppo autoritari e non moderni. Viene da pensare “Beata la sua prole” o almeno “Se i padri si mettessero in gioco invece di continuare a considerare primario il lavoro…” che peraltro bisogna riconoscere essenziale alla sussistenza, soprattutto nella crisi attuale e non solo.
Si fa notare come la funzione paterna si sia modificata ed evoluta al punto da maturare anche a livello sociale come dimostra tra l’altro la normativa sul Congedo di paternità obbligatorio e facoltativo (in Italia attivo dal 2012, con variazioni successive, da fruirsi entro e non oltre il quinto mese di vita del figlio anche nel caso di adozioni e affidi) che si va ad aggiungere a quello di maternità a sostegno della genitorialità quindi di primo acchito parrebbe quantomeno strano che non sia migliorato il rapporto tra genitori e figli da sempre difficile non foss’altro e soprattutto per la differenza di età.
D’altra parte, rispetto al passato la forbice generazionale si è alquanto ristretta per cui due fratelli con non molti anni di differenza spesso sembrano appartenere a generazioni diverse.
Al Piccolo Teatro di Milano, Mario Perrotta debutta in prima nazionale con il primo capitolo (dei tre previsti) in cui tratteggia con ironia a volte sarcastica un eloquente quadro sui ‘brandelli’ dell’antico “padre padrone” che indipendentemente dal ceto annaspa spesso in modo ridicolo di fronte al figlio il quale crescendo da bambino diviene adolescente, età di grandi travagli con luci radiose e ombre cupe come ciascun adulto, se ‘rovista’ nei propri ricordi, può rammentare, se non rivivere.
Consulente alla drammaturgia Massimo Recalcati, milanese classe 1959, laureato in filosofia, specializzato in filosofia sociale, docente universitario, saggista e autore quale psicanalista esperto anche in relazioni familiari di numerose iniziative e progetti nell’ambito del sociale.
L’incipit della trilogia è dedicato al padre di cui il nostro proteiforme, duttile e versatile attore interpreta contemporaneamente tre ‘esemplari’ odierni alle prese con altrettanti fallimenti della loro missione. Perrotta come gli è abituale anche in questo caso scandisce il suo spettacolo con il numero tre – magico ab antiquo e considerato perfetto in numerose civiltà, traslato nella tradizione cristiana con la Trinità, è tra l’altro perno con i suoi multipli della nostra Divina Commedia (testo cardine della spiritualità e della cultura medievale scritto da un emigrato dell’epoca quale Dante, esule-profugo per motivi politico-religiosi: nihil novi sub sole) – che in questo caso accomuna tre fallimenti esistenziali legati all’impoverimento culturale dell’odierna società.
I tre eroi dello spettacolo diversi per ambiente, formazione e professione vivono nel medesimo palazzo e, malgrado le profonde differenze (anche relative alla regione d’origine) che li connotano, si ritrovano in situazione analoga privi di autorevolezza e incapaci di infrangere o scalare il muro di silenzio eretto dai pargoli che non li considerano e si isolano ostinatamente nella propria monade: pare che padri, figli e forse anche mogli… conducano ciascuno la propria vita incapaci di collaborare l’uno con l’altro. Anche la strutturazione del progetto perrottiano che vede ogni protagonista raccontarsi per proprio conto nel capitolo a lui riservato rafforza la tesi sull’incapacità odierna di rapportarsi se non per fugaci, incompleti e illusori contatti sui social.
Una pièce che comunque non lascia indifferenti e apre a numerose riflessioni e che è consigliabile vedere da parte di famiglie unite affinché riscoprano il piacere di prendersi per mano invece di correre a sfogarsi presso un amico o un professionista per quanto serio o sui social.