Chi conosce il percorso artistico di Simone Cristicchi sa che è sempre stato molto sensibile a tematiche legate agli “ultimi”, agli emarginati, a coloro che sono, per qualche motivo, discriminati dalla società. Già al Festival di Sanremo con Ti regalerò una rosa, brano che lo ha reso famoso, emergeva la sua propensione per determinati argomenti, come testimonia la canzone frutto della sua esperienza in giro per gli ospedali psichiatrici d’Italia. Il successo che ne conseguì fu da stimolo per un progetto teatrale sullo stesso argomento. Dopo questo primo esordio di grande successo sui palcoscenici, l’artista romano ha trovato nel teatro il suo canale espressivo e attraverso esso racconta al pubblico storie di sofferenze, di emarginazione, di dolore ma anche di rivincita. Tanti sono i racconti messi in scena, alcuni davvero toccanti e ben riusciti come ad esempio Magazzino 18, un’opera che racconta il dramma dell’esodo istriano, giuliano e dalmata nel secondo dopo guerra.
L’ultima fatica di Simone Cristicchi (scritta insieme a Gabriele Ortenzi), Manuale di volo per uomo, andata in scena al Teatro Duse di Bologna, pur essendo sempre legata a tematiche delicate non è riuscita ad essere così nevralgica ed efficace come altre performance del cantante-attore. Questo spettacolo non convince non tanto per ciò che racconta, ma per come lo racconta e per l’eccessivo minimalismo che lo contraddistingue. Cristicchi è un bravo performer ma qui, solo in scena, senza nessun tipo di ausilio, non è stato capace di catturare fino in fondo lo spettatore, non è stato capace di emozionare fino in fondo seppur la tematica fosse toccante.
Tutto è rimasto troppo in superficie, sia la scrittura, a tratti banale, un lungo monologo di ottanta minuti nel quale il protagonista, Raffaello, racconta la sua condizione di emarginato perché diverso, perché nonostante i suoi quarant’anni guarda il mondo con gli occhi di un bambino: un tipo strano che gli altri non comprendono. Nonostante si voglia mirare ad affrontare temi penetranti, come il coraggio di buttarsi nella vita, l’importanza di mantenere vivo il bambino che è in noi e di guardare il mondo con stupore, ammirazione meraviglia, nella scrittura non ci sono guizzi creativi dai quali si rimane impressionati, che lasciano il segno e toccano nel vivo la sensibilità dello spettatore. Ma ciò che più è mancato rispetto agli altri spettacoli è stata la musica. Cristicchi nasce nella musica e una delle forze del suo teatro risiedeva in questa formula che aveva ideato di musical civile che riusciva a coinvolgere, emozionare e catturare il pubblico.
Ciò che rimane è l’artista, con la sua sensibilità, il suo punto di vista sul mondo che è sempre interessante e apre gli orizzonti, ricorda che le sfaccettature umane sono infinite e che il diverso che spesso spaventa, teniamo distante ed emarginiamo, molte volte ci terrorizza così tanto perché esprime un seme che è presente in tutti e forse ci insegna che farlo germogliare a volte vuol dire sì vivere una vita più complicata, ma sicuramente anche essere più liberi: “il mondo come era non mi piaceva e ho cominciato a colorarlo come volevo io” dice Raffaello.