Un testo molto noto e poco rappresentato, che trasuda decadente sensualità e narcisistico compiacimento.
La vicenda biblica, riferita dagli evangelisti Marco e Matteo, si tramuta con Oscar Wilde in una inquietante e morbosa passione che trasforma una giovane remissiva in un’eroina.
Mentre nel palazzo si svolge un banchetto con ospiti giudei, romani ed egizi, sulla terrazza incombe una gigantesca luna che spande il suo metallico chiarore proiettando lunghe ombre tra i soldati che si scambiano battute sulla bellezza della principessa Salomè figlia della regina Erodiade, che il tetrarca ha sposato dopo averne ucciso il marito Filippo. In un’antica cisterna è rinchiuso il profeta Iokanaan che proclama profezie sull’avvento del Messia e lancia anatemi contro l’efferatezza di Erode, assassino del fratello, e la dissolutezza di Erodiade che si è congiunta al sanguinario cognato.
L’eterea Salomè, allontanatasi dal banchetto per sottrarsi agli sguardi concupiscenti del patrigno, è attratta dalla fisicità prorompente e indifesa e dalla visionarietà sdegnosa del profeta, tanto da essere mossa da un desiderio irrefrenabile di baciarlo. Iokanaan la respinge e il giovane siriaco capo delle guardie, perdutamente innamorato di lei, si uccide disperato.
La terrazza si anima: giunge Erode che professa la sua insana passione a Salomè, seguita da Erodiade sdegnata verso il marito che non la difende dalle ingiurie del profeta incatenato nel pozzo, la cui voce echeggia sinistra.
Erode chiede alla fanciulla di danzare per lui, pronto a esaudire ogni desiderio. Volteggiando a piedi nudi sul sangue rappreso del giovane siriaco, Salomè esegue la sensuale danza “dei sette veli” e pone come condizione la testa di Iokanaan.
Follia sanguinaria? Vendetta per il rifiuto subito? L’amore trascolora nella morte in un delirio parossistico di possesso e identificazione.
Erode mette in atto un estremo tentativo di commutare la promessa proponendo la variegata opulenza dei suoi forzieri con manufatti incrostati di gemme preziosissime e ventagli di colorate piume di pappagalli, ma Salomè è irremovibile, vuole la testa da baciare. Il tetrarca deve capitolare, ma la visione della fanciulla che bacia la bocca della testa mozzata lo spinge alla decisione che modificherà la storia come la conosciamo.
Oscar Wilde compose Salomè in francese nel 1891 dedicandola a Pierre Louÿs, per Sarah Bernhardt che non volle interpretarla dopo lo scandalo che travolse lo scrittore. La prima rappresentazione a Parigi fu un fiasco, nel Regno Unito venne censurata e fu portata sulle scene solo nel 1931.
Figura emblematica nell’arte e nella letteratura di un mondo lussurioso e decadente, Salomè incarna l’assunto dell’amore autodistruttivo, permeato di sacralità e mondanità in un’aura di sarcasmo agghiacciante e favolistico che, aldilà delle connotazioni licenziose, rendeva blasfema e caricaturale la vicenda provocando lo sdegno del pubblico anglosassone.
Opera sovversiva, espressione dello spirito di inquieto esteta del suo autore che stigmatizzava la società del suo tempo come fa Iokanaan con la corrotta corte di Giudea in cui allignano appetiti incestuosi.
Il regista Luca De Fusco mantiene il registro comico della scrittura che si incunea nel dramma suscitando qualche sorriso macabro anche grazie alla magistrale interpretazione di Eros Pagni, che oscilla tra senili pulsioni carnali e senso del sacro. De Fusco spiega la scelta del testo con l’interesse per la contaminazione fra teatro, danza, musica e cinema, e risolve il finale con una scena di mimesi abbacinata nel pallido chiarore lunare.
Gaia Aprea è figlia della luna, argentea e aerea in un manto di velo, tenace e imperturbabile davanti alla morte. Anita Bartolucci è Erodiade, Giacinto Palmarini è un marmoreo Iokanaan che sembra uscito da una tela di Antonello da Messina. Alessandro Balletta, Silvia Biancalana, Paolo Cresta, Gianluca Musiu, Alessandra Pacifico Griffini, Carlo Sciaccaluga, Francesco Scolaro, Paolo Serra, Enzo Turrin sono gli altri interpreti.
Scene e costumi di Marta Crisolini Malatesta, disegno luci di Gigi Saccomandi, musiche originali di Ran Bagno.