Allestimento ideato da Pier Luigi Pizzi nel 2011 per il Teatro delle Muse di Ancona e per il Teatro Lauro Rossi di Macerata, ripreso dopo sette anni dai teatri di Fermo, Ascoli Piceno e Fano.
Nulla è cambiato da allora se non il cast, pertanto attingerò alla dettagliata descrizione di allora per l’aspetto visivo, che mantiene intatta ancora l’atmosfera di poesia e d’eterea bellezza, mentre ovviamente analizzerò il nuovo cast.
Un fluttuante telo bianco cade e la scena s’illumina d’immenso. Un’erma spiaggia sospesa tra cielo e mar, sopra un alto scoglio “che da tanta parte dell’ultimo orizzonte il guardo esclude” e lascia pensare a “interminati spazi di là da quello”, è pervasa da un’esplosione di biancore. Al centro della spiaggia un moscone di legno bianco e a destra una casa bianca con scala e grande terrazza e un solarium al piano superiore. “Mirando” il suggestivo loco, “sovrumani silenzi e profondissima quïete io nel pensier mi fingo, ove per poco il cor non si spaura” e “naufragar m’è dolce in questo mare” di luce. (Leopardi: L’Infinito).
Sulla morbida coltre sabbiosa due giovani baldanzosi, Guglielmo (amante di Fiordiligi) e Ferrando (amante di Dorabella), corrono, saltano, si denudano, si distendono, fanno ginnastica, leggono il giornale, agilmente si arrampicano sugli scogli e sulla ringhiera nera del terrazzo. Compostamente si fa avanti Don Alfonso con un ombrello rosso in mano. Gli uomini hanno il codino, abiti d’epoca chiari e un cappello a tre punte. Le tre grandi porte-finestre si spalancano sulla terrazza ed escono le due sorelle Dorabella e Fiodiligi (asciugandosi con l’asciugamano i lunghi capelli neri), con leggeri abiti bianchi lunghi stile impero e la cameriera Despina con un grembiule grigio sopra un vestito color sabbia.
I quattro amanti sprizzano freschezza e trasgressione da tutti i pori: si baciano per le scale, sulla spiaggia, simulano amplessi, si abbracciano e, quando lo fanno a coppie ravvicinate, spesso le mani di ognuno diventano troppo lunghe per toccatine furtive dell’altra amante.
Dopo la partenza (finta) dei due maschietti per la guerra, le due donne si vestono a lutto (bellissimi abiti neri lunghi della stessa foggia, con corpetto rifinito in vita con grandi becchi a centine, profilato in bianco quello di Dorabella) e si coprono capo e viso con grandi veli neri. Ma poi indossano bellissimi abiti da sposa bianchi per andare a nozze coi nuovi amori.
I giovani sono scalzi, il vecchio no.
Niente servitori in scena e anche il coro non è fisicamente presente. Per aumentare la quasi immaterialità di questo allestimento (tutto è morbido, la sabbia annulla i rumori, i piedi scalzi), il flusso sonoro del bravo Coro del Teatro della Fortuna Mezio Agostini di Fano, preparato da Mirca Rosciani, giunge dalla platea, dove i coristi sono schierati lungo le pareti laterali.
Pier Luigi Pizzi, autore di regia, scene, costumi e luci, gioca di finezza nella cura dei dettagli e accentua con estremo garbo la comicità (Dorabella si rintana in casa con il nuovo amante e riesce in abito bianco – il lutto è finito; Fiordiligi pure si rintana col nuovo arrivato, torna fuori scarmigliata ma ancora in nero perché è andata in bianco); Pizzi rispetta la geometria musicale con la simmetria a volte speculare delle coppie nelle scene d’insieme.
Regia squisita, scenografia originale e luminosissima, costumi di un’eleganza sobria e raffinata: una delicatezza sublime pervade la scena, anche nei quadretti spiritosi. Bravo Pier Luigi Pizzi.
Così fan tutte, l’opera mozartiana destinata ai palati più fini, presenta una nutrita tavolozza di colori, per delineare un groviglio indistinto di sentimenti contrastanti provati dai personaggi nell’arco di una sola giornata ricca di imprevisti. Il libretto scritto con accuratezza da Da Ponte punta il dito contro le donne, ma oggi ci fa sorridere, la musica di Mozart è raffinata e di assoluta bellezza, a volte impalpabile, a volte sottilmente ironica o burlesca (caratteri determinati dalle voci degli strumenti), è ricca di melodie ben strutturate, incantevoli concertati, duetti, terzetti, quartetti, quintetti, sestetti, con una linea musicale dolcissima a sostegno della lunghezza e della lentezza della narrazione.
Con incisività e discrezione, secondo la situazione, l’Orchestra Filarmonica Marchigiana, diretta da Marco Moresco, riesce a restituire la musica fascinosa dei duetti femminili, l’aura sognante e sospesa dei terzetti, l’esuberanza dei sestetti e dà rilievo ai differenti timbri strumentali per caratterizzare i personaggi: l’oboe dal timbro nasale per il vecchio e cinico Don Alfonso, i clarinetti sensuali e voluttuosi per le due donne disposte all’avventura, i violini e le viole per i sospiri e i singhiozzi, i flauti e i fagotti per le pene e gli affanni e i corni per i richiami scherzosi.
Le convenzioni dell’opera buffa e quelle dell’opera seria si ritrovano nel carattere dei protagonisti: Fiordiligi e Ferrando sono figli dell’opera seria, agli altri è riservato un linguaggio musicale più vicino alla tradizione comica. Le difficili e arcinote arie solistiche, parodie del grande stile tragico, assolutamente scoperte, richiedono doti vocali e stile ineccepibili. Comunque l’opera, imbastita più sui pezzi d’insieme che sui pezzi chiusi, va considerata globalmente.
Nell’allestimento fanese le voci sono affiatate, ma l’aura mozartiana traspare più dalle voci maschili che da quelle femminili.
Le due sorelle agiscono e cantano quasi sempre in tandem incantevoli duetti o si sostengono psicologicamente nei preziosi quartetti coi due giovani amanti o negli intriganti sestetti, ma hanno anche delle arie di rara bellezza. I quattro cantano spesso distesi.
Il soprano romano Arianna Vendittelli è una Fiordiligi soave nei duetti e nei quartetti, fresca negli acuti, prorompente nei sovracuti, fa uso della messa di voce, ma qualche suono esce gridato e la dizione è poco chiara.
Nell’aria del primo atto “Come scoglio”, più gridata che modulata, gli acuti son cantati sul forte e le note gravi sono poco timbrate.
Il mezzosoprano Cecilia Molinari, nella parte della spigliata e volubile Dorabella, esibisce centri vellutati e morbidi.
Il soprano ligure Francesca Benitez delinea una Despina frizzante con bella voce tagliente, si destreggia bene come medico improvvisato, anche se con dizione incomprensibile e canta bene il falsetto del notaio.
Il tenore australiano Alasdair Kent (Ferrando) è un tenore di grazia con voce dal bel colore chiaro. Canta l’aria “Un’aura amorosa” tutta a mezza voce, con delicatezza ed emissione sul fiato ben dosato anche in posizione distesa.
Nella cavatina “Tradito, schernito” invece il tenore non addolcisce i suoni che si sbiancano nei filati, il canto è tirato e la mezza voce è fatta sottovoce.
Nel ruolo del pratico e baldanzoso Guglielmo, Gianluca Margheri esibisce una voce ampia e robusta di baritono.
Don Alfonso è interpretato con stile impeccabile nel canto e nel gesto dal basso marchigiano Andrea Concetti, che vanta una voce duttile e robusta di bel colore e notevole peso vocale.
Regia movimentata, garbatamente orientata sul versante comico.
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Cast
Direttore Marco Moresco
Regia, scene, costumi e luci Pier Luigi Pizzi
Fiordiligi Arianna Vendittelli
Dorabella Cecilia Molinari
Guglielmo Gianluca Margheri
Ferrando Alasdair Kent
Despina Francesca Benitez
Don Alfonso Andrea Concetti
Orchestra Filarmonica Marchigiana
Coro del Teatro della Fortuna “Mezio Agostini”
Maestro del Coro Mirca Rosciani
Coproduzione con Teatro Marrucino di Chieti
Allestimento dell’Associazione Arena Sferisterio di Macerata
e della Fondazione Teatro delle Muse di Ancona