Cuore di cane, prima produzione del 2019 firmata Piccolo Teatro di Milano, va in scena al Teatro Grassi di via Rovello, dal 22 gennaio al 10 marzo. Alla sua seconda regia per il Piccolo – la prima fu Le donne gelose di Goldoni nel 2015 – Giorgio Sangati si confronta con la potenza della scrittura di Bulgakov, drammaturgicamente ‘restituita’ da Stefano Massini. In scena un cast straordinario che, vede Paolo Pierobon nei panni del cane randagio Pallino e Sandro Lombardi in quelli del Professore. Accanto a loro Lorenzo Demaria, Giovanni Franzoni, Lucia Marinsalta, Bruna Rossi. Le scene sono di Marco Rossi e i costumi di Gianluca Sbicca, recentemente premiati con l’UBU per Freud o l’interpretazione dei sogni.
Scritto da Michail Bulgakov nel 1925, Cuore di cane fu censurato in Russia fino al 1987, mentre in Italia fu pubblicato a metà degli anni Sessanta, assieme all’altro capolavoro dello stesso autore, Il Maestro e Margherita. Il testo racconta la vicenda del cane randagio Pallino, che il Professor Preobražénskij sottopone a un curioso esperimento: gli trapianta l’ipofisi di un essere umano. Il Professore, medico che lavora con una clientela di ricchi moscoviti, cerca una terapia che ringiovanisca le persone. Eseguito il trapianto e scoperto che l’ipofisi, in realtà, nascondeva il segreto dello sviluppo umano, il dottore procede a una forzata rieducazione, tesa a fare del cane un uomo a tutti gli effetti. La situazione, però, gli sfugge di mano e Pallino si tramuta nel “cittadino Pallinov” modello ideale dell’uomo nuovo sovietico tanto detestato dal borghese e nostalgico Professore.
La trasformazione di Pallino da cane a uomo si traduce nella sua “disumanizzazione”: sorta di “anti-Arlecchino post sovietico”, preso a calci, ustionato, reclutato, operato, “rieducato”, registrato e sfruttato, schiacciato tra l’esperimento positivista del Professore e quello sociale del nuovo sistema politico, Pallino-Pallinov diventa il grimaldello che scardina le contraddizioni di un mondo fondato sull’ipocrisia e sull’opportunismo, diventando pericoloso, distruttivo e devastante, perché portatore di un’animalità/umanità crudele, irriverente e violenta ma, per contro, naïve e sincera.
La riscrittura di Stefano Massini indaga con particolare attenzione il funzionamento del linguaggio, il suo potenziale espressivo, il processo che ne permette l’apprendimento, che forma il pensiero (e che lo omologa), che permette le relazioni sociali e perfino una consapevolezza politica.
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Uomini e cani
Conversazione con Giorgio Sangati
(dal programma di sala dello spettacolo)
Perché hai scelto di portare in scena Cuore di cane?
La proposta di dirigere uno spettacolo tratto dal romanzo di Bulgakov è nata dal Piccolo Teatro, da Sergio Escobar e Stefano Massini. Ricordavo l’impressione profonda che la lettura di quel capolavoro aveva lasciato su di me e mi sono detto che, tra tanti progetti possibili, era il più giusto nell’attuale frangente storico, un’occasione da non perdere per proporre al pubblico un autore estremamente efficace, oggi più che mai.
Come ti sei rapportato con il passaggio dal romanzo alla scena?
Una delle cose più interessanti del testo originale è la sua capacità di giocare con i punti di vista dei personaggi, con il concetto di tempo e con i codici letterari. La versione teatrale di Stefano Massini coglie e valorizza tutte queste caratteristiche, a partire dal talento di Bulgakov nel sintetizzare in poche pagine avvenimenti che occupano settimane o viceversa nel dilatare singoli istanti con effetti da rallenty cinematografico. Ho eliminato le ambientazioni troppo realistiche, gli esterni e le stanze dell’appartamento del Professor Preobraženskij, per sostituirli con uno spazio altro, estremamente funzionale, che fosse un laboratorio ma anche il contenitore teatrale dentro al quale far accadere le varie fasi dell’esperimento, ossia la creazione dell’uomo nuovo.
In realtà il Professor Preobraženskij non sta cercando di creare l’uomo, ma di renderlo eternamente giovane…
Il professore borghese che non ha alcun interesse per l’umanità, mira semplicemente ad arricchirsi con la ricetta dell’elisir di giovinezza, incappa in una scoperta non cercata: l’elemento capace di mutare la bestia in uomo. Riportata al contesto di Bulgakov, all’Unione Sovietica del 1925, quando fu scritta la prima stesura del romanzo, la ricerca “disumana” del professore è il simbolo di una società distopica che impone le proprie scelte, a prescindere dagli impulsi, dalle aspirazioni, dalle singole individualità. Qualunque aspetto spirituale è spazzato via, a vantaggio di un approccio falsamente scientifico, in realtà viziato dal delirio di onnipotenza e controllo.
E Bulgakov, secondo te, da che parte sta? È con il professore o con Pallino?
Bulgakov non salva nessuno. Forse risparmia soltanto il cane prima dell’esperimento, cioè l’emarginato, il vagabondo, il disperato, il cui sguardo sul mondo è puro, privo di arroganza, animato dal solo istinto di sopravvivenza. Bulgakov non assolveva neanche se stesso: pur avendo sempre condannato le degenerazioni della rivoluzione e la guerra civile, provava un forte senso di colpa, in quanto intellettuale, per non essersi opposto più fermamente alle violenze di cui era stato testimone. Spesso, durante le prove, ho ricordato a Sandro Lombardi e a Paolo Pierobon che il professore e Pallino umanizzato sono le due facce della stessa medaglia, due emisferi di un unico cervello che si è scisso. Da quella frattura si è generato un dolore, forse anche una tragedia, cui si può porre fine soltanto ripristinando la situazione precedente.
Come hai lavorato con gli attori?
Attori come Paolo Pierobon e Sandro Lombardi, Pallino e il Professore, lavorano sul corpo e sul linguaggio partendo da punti di vista quasi opposti. Nel corso dello spettacolo, questi due poli si incontrano e si contaminano, esattamente come accade ai personaggi. Il mio ruolo è governare l’incontro-scontro, l’energia di amore-odio che si genera tra Preobraženskij e Pallino, tra padre e figlio, tra creatore e creatura. Se vorrà, lo spettatore potrà leggere, al di là del racconto, anche una dimensione più profonda di quell’intreccio che consiste nello scambio di saperi teatrali, intellettuali ed emotivi tra i due protagonisti.
Peraltro uno dei due personaggi, per lo meno all’inizio, è un cane…
Mi sono domandato in che modo un attore potesse impersonare uno “sguardo animale”. Qualunque cane vede l’umanità e la realtà da un punto di vista più basso del nostro. Per di più, questo nostro specifico cane è un randagio morente, praticamente “spiaggiato” sul marciapiede: era fondamentale che l’attore avesse una percezione marcatamente diversa dagli altri interpreti. Grazie alla scena di Marco Rossi, abbiamo dato vita a un underground che è tante cose: gabbia di contenzione, tunnel della metropolitana, mondo “basso”. Paolo non impersona un cane, ma qualcuno che è trattato come un cane, è emarginato, inascoltato, controllato, imprigionato. Mi sembra che oggi abbondino gli esempi di questo atteggiamento verso chi, per qualche motivo, non reputiamo uguale a noi, non pienamente uomo, perché non parla la nostra lingua, non la capisce, non vive secondo le nostre convenzioni. In questo modo potevamo valorizzare una parola chiave del testo: elevazione. Continuamente il professore dice a Pallino Ti ho elevato. Ma la risposta sarà: Ah mi hai elevato. E chi te l’ha chiesto?
Per i costumi quale chiave avete scelto?
Non volevamo raccontare un mondo confinato ai soli Anni Venti della Russia sovietica, ma sottolineare anche le ripercussioni sulle epoche successive. Gianluca Sbicca ha inventato dei tagli che evocano un 1925 “distopico”, che reca cioè le tracce del secolo che ci separa dal momento in cui il romanzo è stato scritto.
Anche la luce gioca un suo ruolo drammaturgico.
Per quanto riguarda l’illuminazione, insieme a Claudio De Pace abbiamo pensato di utilizzare anche molte fonti reali a vista: luce come ulteriore strumento di osservazione, di contenzione e controllo. Per Bulgakov la luce elettrica era un’ossessione, in quanto creata dall’“uomo nuovo” in opposizione alla luce divina.
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Linguaggio, denaro e civiltà: il corto circuito di Bulgakov
Conversazione con Stefano Massini
(dal programma di sala dello spettacolo)
Chi e cosa rappresenta Bulgakov per te e per il tuo percorso di scrittore?
Ho sempre pensato che il percorso di avvicinamento a un testo sia qualcosa di solo apparentemente fortuito. È come se i libri e gli autori si cercassero a vicenda. Ebbene, nel 2016 mi fu chiesto di scrivere la prefazione alla nuova edizione italiana del romanzo Il Maestro e Margherita. E fu proprio durante quella stesura che, dopo molti anni, incontrai di nuovo sulla mia strada Cuore di cane, con tutta la sua dirompente vena caustica, incendiaria e antisistema. Potrei dire che è impossibile comprendere a fondo il Bulgakov del suo più noto romanzo “mefistofelico” se non si rilegge con attenzione la parabola lucidissima, spietata, di questo libriccino dalla trama all’apparenza così infantile. Ebbene, con questo dittico, l’autore ci racconta qualcosa di toccante: quanto sia terribile avvertire intorno a sé una deriva politica e sociale, e opporsi a essa con l’arma intrepida (ma ahimè debole) della propria penna. Avere solo quella. Contare solo su quella, e farlo con il massimo dell’ostinazione, mentre sotto i tuoi piedi il Titanic sta colando a picco. La scrittura di Bulgakov è formidabilmente intrisa allo stesso tempo di un’ironia irresistibile e di una rabbia disperata. È questa coesistenza di piani a sigillare ai miei occhi il suo magistero.
Qual è stata la difficoltà maggiore che hai incontrato nel lavoro e quale elemento ti è stato invece di supporto?
In realtà sono abituato a invertire i due elementi, sempre: ciò che mi crea difficoltà deve diventare il vero punto di partenza del lavoro, altrimenti non fai altro che assecondare la tua maniera. In questo caso, debbo dire, le resistenze maggiori le avvertivo proprio nel fatto che il racconto si adattava perfettamente a tradursi in una classica commedia di dialogo, troppo classica per interessarmi. Decisi allora di alternare i registri, spezzando il realismo con inserti dei diari clinici tenuti dal Professore e dal suo assistente. Questa prospettiva mi permetteva di creare uno strano impasto fra linguaggi diversi, e di giocare con la cosiddetta quarta parete, cosa che mi intriga sempre molto perché antinaturalistica. Alla fine mi sono reso conto che tutto il testo poteva assumere la forma di un trattato anatomo-fisiologico, condito di osservazioni sociali e comportamentali. Insomma: un vero giornale di bordo di questo balzano esperimento chirurgico, suo malgrado divenuto una questione politica.
Il percorso di Pallino verso l’acquisizione di una identità umana ha nell’apprendimento del linguaggio la chiave di volta.
Penso che il baricentro del testo di Bulgakov sia davvero in questo laboratorio linguistico: Pallino è un cane, si esprime scodinzolando, latrando e abbaiando, mentre il professor Preobražénskij trascorre le prime due scene a pavoneggiarsi in un trionfo di parole. In questa iniziale contrapposizione abbiamo il ritratto dei due, nella loro abissale distanza che è innanzitutto nel possesso di quel mistero terribile che Freud attribuiva alle parole: sintetizzare la pluralità delle cose, verbalizzarne la complessità.
Come sei riuscito a preservare e a valorizzare l’ironia, il tratto grottesco, la leggerezza dello stile di Bulgakov adattandoli a una scrittura “contemporanea”?
La peculiarità di Bulgakov sta nella ferocia della sua lievità. Egli riesce a raggiungere vette di spietata denuncia proprio perché usa un tono ingenuo, talmente esile da sembrarti candidamente disinteressato. Basta prendere l’ossatura della trama: questa è in fondo la vicenda di un cagnolino trasformato per errore in uomo, con lo spiacevole incidente che a toccargli in sorte è l’ipofisi di un mezzo criminale, da cui l’indole disgraziata del nuovo essere. Tutto qui. Sembra una storiella da libro illustrato, un po’ come avviene nella Fattoria degli animali di Orwell. Ed è proprio questa cornice a farti accettare, mimetizzata, la durezza sostanziale di un atto d’accusa violentissimo, contro tutto e tutti, contro le nostre idiozie e i nostri finti equilibri, contro le pochezze e le miserie che neppure ci saltano più agli occhi, tanto fanno parte della giostra sociale. Senza poi tralasciare che l’essere umano si concepisce da secoli come il padrone del pianeta terra, in posizione di primato (auto-conferito) su tutti gli altri animali. Bulgakov sembra chiedersi (e chiederci): quando la finiremo di chiudere gli occhi sui baratri immondi di questa umanità sovrana, sempre celebrata e giustificata in nome della sua eccellenza razionale? Siamo davvero così degni di una corsia preferenziale? Non è che magari un cane (oppure un cavallo, avrebbe detto Tolstoj…) mantiene più dignità nel suo status animale senza dover essere per forza promosso al blasone degli uomini? Il tema è altissimo. Talmente alto che l’unica via per disaminarlo è ricorrere a una semplicità disarmante, elementare. Portare in scena Bulgakov implica il rispettarne l’apparente candore.
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Piccolo Teatro Grassi (Via Rovello, 2 – M1 Cordusio), dal 22 gennaio al 10 marzo 2019
Cuore di cane
di Stefano Massini, regia Giorgio Sangati
libera versione teatrale dal libro di Michail Bulgakov
scene Marco Rossi, costumi Gianluca Sbicca
luci Claudio De Pace, trucco e acconciature Aldo Signoretti
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Personaggi interpreti
Pallino, la cavia Paolo Pierobon
Il prof.Filìpp Filìppovič Preobražénskij Sandro Lombardi
Il dottor Ivàn Arnòl’dovič Bormentàl’, suo braccio destro Giovanni Franzoni
Darj’a Petrovna, cuoca Bruna Rossi
Zina Prokof’evna, giovane cameriera Lucia Marinsalta
Commissario del Popolo Lorenzo Demaria
produzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa
coproduzione Compagnia Lombardi Tiezzi
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Orari: martedì, giovedì e sabato, ore 19.30; mercoledì e venerdì, ore 20.30;
domenica, ore 16. Lunedì riposo.
Prezzi: platea 40 euro, balconata 32 euro
Informazioni e prenotazioni 0242411889 – www.piccoloteatro.org
News, trailer, interviste ai protagonisti su www.piccoloteatro.tv
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Gli incontri al Chiostro
In occasione dello spettacolo Cuore di cane, il Piccolo Teatro organizza un ciclo di incontri per approfondirne i temi: la messa in scena, la drammaturgia, il lavoro degli attori.
Inoltre si parlerà dell’URSS, dei miti e dell’iconografia ai tempi di Bulgakov.
Tutti gli incontri si terranno alle ore 17 al Chiostro Nina Vinchi (via Rovello 2).
Ingresso gratuito con prenotazione su www.piccoloteatro.org
giovedì 24 gennaio
Incontro con Giorgio Sangati
martedì 29 gennaio
Incontro con Stefano Massini, introduce Damiano Rebecchini
venerdì 8 febbraio
‘Miti e iconografia sovietica negli anni di Bulgakov’
con Gian Piero Piretto
venerdì 15 febbraio
Incontro con la compagnia