Due grandi attori del piccolo e grande schermo si prestano all’arte teatrale portando in scena un adattamento dell’omonimo romanzo russo del 1886 di Fedor Dostoevskij. Delitto/Castigo, diretto da Sergio Rubini e adattato con Carla Cavalluzzi vede in scena lo stesso Rubini insieme a Luigi Lo Cascio, anima del protagonista.
Lo spettacolo inizia prima dell’entrata in scena degli attori. Sipario aperto. Rumore di gocce che scorrono in sottofondo, rumore costante e disturbante, indicatore di qualcosa di ossessivo. In scena la ricostruzione di un ambiente familiare: un tavolo con due sedie da un lato, un letto singolo dall’altro. Sul fondo del palco quella che sembra una dispensa e un quadro illuminato della Madonna con Gesù Bambino. Ciò che stride con l’apparentemente ambiente confortante sono una serie di indumenti maschili, per la maggior parte scuri, pendenti da cappi di corda sul palco che circondano un grande tavolo nero, anch’esso sospeso, sbilenco e minaccioso.
Due leggii contrapposti uno di fronte all’altro prendono improvvisamente vita con le parole dei due fautori dello spettacolo, Sergio Rubini e Luigi Lo Cascio. Si respira un’atmosfera noir e l’ambiente neutro prende forma connotato dalle diverse sfaccettature della musica ma soprattutto dei rumori riprodotti dal vivo da Gup Alcaro, presente in scena. Lo Cascio interpreta il protagonista del romanzo, giovane e sognatore, studente squattrinato in quel di Pietroburgo. Rubini è tutto il resto (o quasi): narratore e interprete di diversi personaggi modifica volto, connotazioni psicofisiche e vocalità in corsa, proteso nell’interfacciarsi costantemente con il protagonista. Il mood scenico risulta efficiente e credibile, creatore di situazioni precise e ben delineate, date dalla musica e dal sapiente disegno luci soprattutto durante i momenti di pura narrazione.
L’adattamento diretto da Rubini è caratterizzato da un miscuglio interpretativo che si colloca a metà tra il classico reading e il più sperimentale teatro d’immedesimazione a diversi livelli, come esplicitato sopra. Interessante scelta a metà dunque, efficiente drammaturgicamente ma non del tutto dal punto di vista scenico considerato che, soprattutto Lo Cascio risulta troppo “legato” al copione da cui attinge visivamente e da cui non si separa quasi mai. A parte Rubini e Lo Cascio, gli unici personaggi vivi e presenti sono “incarnati” da Roberto Salemi e Francesca Pasquini. Tutto il contorno di figure dostoevskijane si compone di fantasmi, presenze senza corpo né anima, proprio come gli “uomini” in eleganti abiti legati al cappio che oscillano da un capo all’altro del palcoscenico.
Fulcro di tutta la vicenda è, come del resto nel romanzo, l’omicidio. L’arco temporale portato in scena si divide ipoteticamente nel prima, durante e dopo l’evento scatenante la storia e ne è la prova il delirio scaturito dai sensi di colpa del protagonista. Impaurito e febbricitante, il ragazzo precipita in un loop mentale dove i confini tra realtà e fantasia si assottigliano, confondendosi del tutto prima di tornare potenti come un pugno nello stomaco nel finale, momento clou e apice tensivo dello spettacolo.
Un adattamento fedele e allo stesso tempo innovativo, portatore di una carica interpretativa e registica potente, fluido nei dialoghi e convincente nelle scelte poetiche.