Nel foyer del Teatro di Rifredi a Firenze, quindi praticamente a casa sua, Alessandro Riccio – attore e regista fiorentino, fondatore della casa di produzione Tedavi ’98 – ci ha concesso un’intervista dopo l’entusiasmante messa in scena del suo ultimo lavoro, “Serrature”, in scena fino a domenica 27 gennaio 2019.
I tuoi personaggi sono sempre studiati nei minimi particolari, curando ogni dettaglio cogli un quid dalla gente di tutti i giorni, conoscenti, parenti, amici. Ma questo Giulio Spadon invece chi è? Una proiezione, per quanto portata all’eccesso, di te stesso?
Sì, assolutamente sì. La verità sta nei dettagli si dice, così i miei personaggi vengono fuori dalle piccole cose di ogni giorno; questo è il mio modo di esternare il personaggio. Da dove nasce il tutto? Nasce sempre da una parte di me, una parte che sente il bisogno e l’esigenza di tirare fuori, di parlare, di analizzare e analizzarsi. Quello che poi mi rendo conto è che non c’è poi molta differenza tra me e le altre persone, perché vivendo in una società così simile e stando così tanto a contatto con gli altri, mi rendo conto che le mie tematiche sono quelle di tutti e ciò che mi piace sempre dei miei personaggi è che rappresentano quasi una sorta di puzzle: un pezzettino lo rubo da un mio amico, un pezzettino da un mio collega, un pezzettino lo rubo da qualche altra cosa. Quindi i personaggi sono sempre delle costruzioni, risultando di fronte al pubblico tridimensionali. La difficoltà che si riscontra è che spesso rischiano di essere troppo bidimensionali, troppo “cartoni animati”; in questo spettacolo invece siamo quasi al limite opposto, perché la storia raccontata ha un po’ del cartoon, ma ci sono delle sfumature, per fortuna, che rendono i personaggi un pochino più interessanti, più veri, anche per un pubblico adulto.
Queste “serrature” sono anche degli spiragli, che sì servono per capire la mente, per comprendersi, ma anche per “lasciarla libera”…
Infatti c’è qualcuno che ha detto che le serrature servono per aprire, ma anche per chiudere. La mente è veramente complessa, e più andiamo avanti negli anni, più ci rendiamo conto di quanti strani meccanismi la compongono. Io me la immagino proprio come un labirinto dove a volte ci troviamo di fronte a delle porte chiuse e cerchiamo insistentemente di aprirle, senza successo, finchè non troviamo la chiave giusta che può essere un modo diverso di approcciarsi alla vita, oppure una persona accanto che ci dà un consiglio o addirittura può essere vivere un’esperienza più o meno traumatica. Allora scopriamo che abbiamo un altro pezzo di strada da fare, un altro vicolo da svoltare, e se da una parte è molto bello e stimolante, dall’altra viene un po’ naturale esclamare: ‘ma quando finisce questo labirinto!’ (ride). Però devono aprirsi queste porte, assolutamente.
È uno spettacolo esagerato. Ci tenevi che colpisse e richiamasse molte persone; direi che puoi ritenerti soddisfatto. Tutte le serate esaurite, probabilmente con gente esaurita, come noi. Ahahah!
Sì, siamo tutti esauriti. Ahahah! Sono contentissimo, perché quando facciamo un nuovo spettacolo, nonostante la pubblicità, il pubblico viene sulla fiducia. Un nuovo titolo contiene sempre dei punti interrogativi, quindi mi fa piacere il riscontro che abbiamo avuto perché è indice di fiducia nel mio lavoro; sanno che troveranno nei miei spettacoli un qualcosa che li potrà stimolare. Io cerco sempre di fare delle cose molto diverse. Se paragoniamo questo ad altri miei spettacoli si nota che sono molto diversi (questo è anche molto più complesso e faticoso) e cerco sempre di trovare delle alternative perché mi darebbe fastidio ripetermi; mi piace andare a vedere una cosa e restarne stupito, quindi tutto questo pubblico mi ha veramente lusingato, perché si è creata una fiducia tra l’artista e lo spettatore, ed evidentemente siamo anche arrivati a capire qual è la funzione dell’artista: è innanzitutto quella di divertire, che non è facile, e poi anche quella di porre il pubblico di fronte a delle situazioni emotive, a delle riflessioni immaginifiche che ti stimolano, che non trovi da nessun’altra parte.
Hai qualcosa che bolle in pentola, nuovi progetti?
Intanto, con Gaia Nanni, riporteremo “La meccanica dell’amore” al Teatro Lumiere, e poi farò uno spettacolo che debutterà al ridotto del Puccini (nella rassegna organizzata da Andrea Muzzi), “L’arte della guerra” di Sun Zun, un generale cinese vissuto 400 anni a.c., che studiò diverse tecniche di guerra, che paradossalmente si applicano benissimo ai rapporti umani. Perché qual è il problema di oggi? Noi esseri umani siamo progettati per vivere socialmente, è nel nostro Dna, siamo esseri sociali; però non ci insegnano come si fa, non sappiamo socializzare e vivere insieme agli altri, non sappiamo stare insieme e bisognerebbe invece avere delle regole che ci aiutino nella convivenza sociale. Sun Zun questo lo aveva capito, ed aveva evidenziato tutte queste tecniche di combattimento, paradossalmente, per non combattere; il suo motto era appunto: “Vincere senza combattere”. Inoltre sto lavorando con l’Orchestra della Toscana, con il bellissimo “Don Giovanni”, spettacolo che stiamo portando in giro per la regione, sperando di trovare uno spazio a Firenze all’interno dell’Estate Fiesolana.
Ci sono parole che non si può non accostarti: eclettico, irrefrenabile, poliedrico, antistereotipo. Aggiungine una te.
Multisfaccettato. Me lo disse una volta una mia carissima amica “Tu sei multisfaccettato”. Perché, al contrario di Giulio Spadon che si rifugia in un lato di sé, quello in cui si sente sicuro, in cui sa come vivere, il lato dove non accetta di essere sporco, di essere fragile, di avere dei dubbi, io sono uno che ama molto le contraddizioni; so essere in un modo ma anche all’opposto, mi piace stupirmi di me, scoprirmi, domandarmi “ma cosa sto facendo/dicendo?”. Credo sia giusto far respirare tutte le parti di sé; poi si sceglie quella che nella quale ci ritroviamo di più, quella più consona all’ambiente in cui viviamo, ma non dobbiamo limitarci nell’esplorare noi stessi ed in questo credo mi aiuti molto il mio essere, il mio ruolo di attore trasformista: scoprire, vivere e mostrare ogni volta una parte diversa di me e questo lo consiglio a tutti: provare ad essere qualcos’altro rispetto a se stessi.