Questa sera mi sono addentrato tra le vie di Monte Testaccio a Roma, un luogo in cui il buio dei lampioni rotti e i locali intimi fanno compagnia al viandante che cammina per la strada. Se non si sa dove andare si rischia di perdersi, ma non è poi così male se a ritrovarci ci pensa il Teatro di Documenti: una dimensione teatrale diversa dal solito, in cui gli spazi scenici e il foyer nascono dal grembo delle antiche grotte seicentesche romane; avvicinandosi all’entrata subito si ha la sensazione di essere arrivati alle porte di un piccolo diamante grezzo che attraverso l’accoglienza dei padroni di casa si disvelerà in tutta la sua meraviglia.
L’inizio dello spettacolo è fissato per le 20:45, sono in anticipo di qualche minuto così comincio a curiosare in giro. Al piano inferiore vi è una piccola cavità, sembra di stare in una cripta la cui sacralità si apre al passaggio dionisiaco e, mentre mi guardo intorno impertinente, noto sullo schermo un cortometraggio muto che fa notare la sua presenza via via che gli spettatori accedono alla sala: è un Frankenstein del 1910, wow! Sono colpito, le immagini si susseguono e sono rapito dalla bellezza della fotografia, e da quella storia che attraverso quei pochi fotogrammi rivive nel pieno splendore della sua mostruosità. Il regista è J. Searle Dawley, trovo che sia un ottimo modo di accogliere lo spettatore, così mi soffermo quasi imparando a memoria il cortometraggio che va a ciclo continuo: “Lo spettacolo inizia!” Inizia? Noto un alzarsi comune, e sempre più incuriosito mi chiedo dove stiano andando tutti. Seguendo gli altri su per delle scale (devo stare attento alla testa che qui il soffitto è basso) accedo ad un’altra area da dove escono fumo e odori particolari: mi sento un bambino che alla sera aspetta la favola prima di andare a dormire. Quante sorprese, e siamo solo all’inizio! Mi siedo al mio posto tra i cuscini posti sopra la pietra, facendo attenzione a non disturbare la signora che mi è vicina, e con silenzio un po’ timoroso un po’ reverenziale aspetto…
Si inizia a sentire una voce che parla al di là delle tende, il chiacchiericcio della gente continua un bel po’ prima di accorgersi di star sovrastando le parole dell’opera, non è un male. C’è un’atmosfera particolare in cui la terza parete è come se fosse assente poiché nell’entrare in questo luogo vi è un’apertura in un altro mondo. Si fa avanti una splendida donna il cui trucco scuro, le cui scarpe rosse, il cui vestito nero già parlano della storia che si va aprendo per essere da noi riconosciuta e vissuta negli istanti che seguiranno. Paola Tarantino è Mary Shelley, una libera pensatrice, una scrittrice, una femminista ante litteram la cui storia si è eclissata per molto tempo prima di venir riconosciuta nel genio che creò Frankenstein o il moderno Prometeo. Cresciuta nella morte della madre, Mary Shelley vive una vita intrisa di filosofia, tragiche morti, poesia, amori, ricatti morali e separazioni, ma nulla la allontana dalla sua passione per la scrittura, una pozione magica creata tra la polvere alzata dalla sua stregoneria. Le movenze della Tarantino sono una tela all’interno della quale ritroviamo scenari passati, mobili sui quali si appoggia lungo il racconto, personaggi presi per mano e quadretti postici dinnanzi per esser visti in tutto il loro dolore. Un esempio maestrale di costruzione di un immaginario che prende forma e vita seguendo le linee del suo corpo. Il cambio continuo dei registri, l’uso del canto, di un movimento quasi danzato, delle luci di scena incuriosiscono lo spettatore e lo fanno fluire in un fiume di emozioni dove attimo dopo attimo si prende il gusto di un incontro, di una poesia, di una visione condivisa da lei per noi. Quest’attrice ha una potenza evocativa tale da riportarci indietro nel tempo, come una folata di vento che si imprime in noi tra inchiostro e memoria. Non c’è spazio per le domande poiché tutto arriva come un’istantanea di vita, fuoco vivo di conoscenza e ribellione, in cui la profondità e la leggerezza con la quale questa ci viene narrata camminano insieme creando uno spettacolo intriso di senso, strutturalmente forte, creativamente fluido. Ottima la risposta del pubblico in uno scrosciare di applausi e di volti pieni.
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Credits
Scritto e interpretato da Paola Tarantino
Regia e Mimografia di Sara Ercoli
Luci Paolo Orlandelli
Costume designer Ginevra Polverelli
Progetto grafico Laura Nasoni