Al Teatro Gobetti va in scena il nuovo lavoro di Fausto Paravidino, dramaturg residente presso il Teatro Stabile di Torino, e artista di livello internazionale che dedica questa ennesima fatica al mito della Torre di Babele e sulla storia di Abramo, il patriarca delle tre grandi religioni monoteiste. Attraverso una serie di laboratori di creazione drammaturgica e messa in scena realizzati negli Stati Uniti, in Francia, in Italia, in Lussemburgo, si è delineata questa ballata che partendo dalla narrazione biblica approda al giorno d’oggi, con parallelismi metaforici che in primis si manifestano in un pluralismo linguistico, in una sorta di attuale Torre di Babele. Paravidino ha anche voluto riflettere sul sacrificio di Isacco, sul senso della fede, come destino, come richiamo, come vocazione a seguire nel profondo la spinta interiore che anima ciascuno. In questo testo Abramo è Johnny e Sara è Gill, sono agitati dal desiderio di trovare la terra a loro destinata, intraprendono un viaggio, una migrazione, stranieri fra stranieri attraversano il deserto, l’oceano e giungono in America per realizzare il proprio sogno, fondando una famiglia, trovando la ricchezza e la soddisfazione economica. In scena sette attori, i quali, a parte i personaggi principali, interpretano tutti le numerosissime macchiette, le funzioni drammaturgiche, i caratteri che costellano questa epopea contemporanea fumettosa, a volte grottesca e giocosa, altre profonda e densa di sensi significativi, tracciando una descrizione del nostro vivere attuale, fra migrazioni, relazioni difficili con lo straniero, desiderio di successo. La drammaturgia lavora sulla presenza di numerose lingue dal francese, all’inglese, al tedesco, a lingue africane, impreziosendo il canovaccio elaborato di questa narrazione estesa e stratificata, che si avvale un impianto scenico mobile e intrigante, dotato di un fondale scorrevole, con porte in esso inserite, un pavimento mobile e una telecamera piazzata in proscenio sopra un’americana, che dona due momenti di grande suggestione visiva. La messa in scena non si avvale di quasi nessun oggetto di scena, tutto è lasciato al gioco degli attori e alle costanti videoproiezioni che fungono da scenografia e da didascalie animate; la presenza di numerose ballate, con tanto di testo videoproiettato, vira il lavoro verso un ammiccante riferimento brechtiano, ma senza straniamento. Un lavoro di drammaturgia profondo e stratificato che si accompagna ad una messa in scena variegata e dalle diverse temperature, fanno dello spettacolo un’opera che racconta con acume e spirito originale il nostro tempo partendo da un punto di vista insolita e stimolante, quale quello del concetto di fede.
——-
La ballata di Johnny e Gill