Incredibile quanto l’epoca elisabettiana sia stata ricca di talenti, di menti brillanti, capaci di catturare i tratti dell’animo umano, dal più nobile al più becero, dal sentimento più puro al più disonesto e corrotto. Sicuramente Shakespeare è stato uno dei più abili a usare la penna come uno stiletto, ma non il solo. Altro cantore meraviglioso delle sfaccettature umane fu Thomas Middleton, drammaturgo britannico tra i più celebri del suo tempo.
Ed è proprio una delle sue opere, La tragedia del vendicatore, andata in scena all’Arena del Sole di Bologna, che il regista inglese Declan Donnellan sceglie per la sua prima collaborazione con il Piccolo Teatro Di Milano, portando sul palco un cast di quattordici bravi attori italiani in grado di riprodurre sapientemente non solo i tratti tragici, ma anche quelli ironici di questa tragedia in cui, paradossalmente, gran parte della critica sociale di cui è intrisa, passa attraverso una pungente ironia, feroce e a tratti grottesca, pretesto per condannare l’ossessione degli uomini per il potere, il denaro, la gloria. Ossessione che, a quanto pare, non ha tempo.
La storia è, ovviamente, una storia di vendetta. I personaggi hanno già scritto nel nome il destino di cui sono portatori, come usava fare spesso Middleton per connotare fin da subito i personaggi nel ruolo e nel comportamento assunto (Vindice il vendicatore, Castiza la sua casta sorella, e poi i figli del Duca, Lussurioso, Ambizioso, Supervacuo, Spurio). La trama e le azioni dei personaggi s’intrecciano in un gioco degli equivoci destinato a svelare segreti, a corrompere in nome della lussuria, a cadere nella trappola della tentazione in un vortice di eventi che porterà a una specie di sabba finale dove tutti uccidono tutti.
La bellezza e la forza di questo testo risiedono nella capacità di trattare argomenti sempre attuali. Il bisogno di vendetta e di punizione, in fondo, sono sentimenti potentissimi che valicano il tempo e lo spazio perché sono insiti nella nostra natura. Così come lo sono l’amore, la gelosia e anche la nostalgia e l’incapacità di superare alcuni eventi che travolgono l’intera esistenza. Quello di cui parla “La tragedia del vendicatore” è un sentimento che tutti hanno provato. Il desiderio di punire una persona, di fargliela pagare per i torti che si ritiene di aver subito. È anche vero però che molto spesso, come succede a Vindice, nel voler agire per vendetta si finisce, in qualche modo, per danneggiare se stessi. Questo perché è impossibile poter fare del male a un altro uomo senza farlo a se stessi. Anche Vindice è trascinato in un vortice di eventi che egli stesso ha attivato e che metteranno in crisi la sua stessa identità, lo condurranno a farsi più male di quanto non procuri agli altri.
Una minaccia incombente aleggia nell’aria e nelle parole di Middleton. Una minaccia che cresce come un tumore, alimentata dall’odio, dal rancore, dall’ingiustizia. Una minaccia destinata a esplodere nel peggiore dei modi possibili. Una minaccia che il regista Donnelan ha saputo mettere in scena anche attraverso l’allestimento, molto semplice ed elegante, dove enormi e pesanti portoni di legno sui quali incombe, nella prima scena, la parola “vendetta”, si aprono e si chiudono per dare spazio, di volta in volta, ai diversi ambienti della storia caratterizzati da celebri dipinti e affreschi.
Il quadro che abbiamo davanti agli occhi è desolante e fa emergere una società dominata dal narcisismo, dall’ossessione del sesso, della celebrità e della posizione sociale per la quale si sarebbe disposti a vendersi come un bene di consumo. Una società nella quale il governo è corrotto, invischiato in affari loschi, ma con il perenne bisogno di autocelebrarsi. Facile cogliere similitudini con la nostra società e la nostra situazione politica, forse perché la natura umana mette in atto sempre gli stessi meccanismi e fa comportare gli uomini sempre allo stesso modo.