“Lo spettacolo deve continuare” recita il testo della canzone dei Queen, cantata da Freddie Mercury. La 31esima edizione della Danza al Teatro Amilcare Ponchielli di Cremona apre i battenti con la prorompente energia della Compagnia di David Parsons.
Longeva Compagnia, la Parsons Dance da oltre un trentennio calca le scene dei teatri e palcoscenici di tutto il mondo incollando letteralmente alle sedie gli spettatori con iniezioni di energia, solarità e buon umore.
Nonostante il debutto del tour italiano al teatro cremonese ha subito un gap – per l’infortunio di un ballerino che ha costretto a riprogrammare la scaletta dello spettacolo – l’anteprima mondiale ed europea delle coreografie “Eight Women” e “Microburst” ha ampiamente ripagato il pubblico dell’assenza di un brano coreografico.
Per quanto la cifra stilistica della sua Compagnia porta con sé l’imprinting del suo mentore David Parsons (negli anni d’oro grande interprete insieme a Daniel Ezralow e Momix della post modern dance americana), la componente atletica e di alta formazione tecnica colpisce nel segno e non si scalfisce nel tempo, aggiungendo smalto e valore di risorse umane.
In repertorio un evergreen, “Caught”, un assolo del 1982 ideato da Parsons per se stesso, in questa occasione è stato eseguito dalla nostra bravissima connazionale, Elena D’Amario, capace di librarsi nell’aria, per effetto di giochi di luce stroboscopica, in perfetta sincronia con i salti.
Il pubblico, per quanto lo abbia visto e rivisto tante volte, sembra gradire sempre questo must, segno distintivo del genio creativo di David, catturato dalla sensazione di poter volare, che l’essere umano, fin dagli albori dei tempi, da Icaro e Leonardo da Vinci, ha sviluppato con svariate tecniche fino ai nostri giorni.
In “Eight Women” – anche se otto donne non sono in scena – è il multiplo di due a rafforzare la forza interiore e l’energia vitale della donna, fondendosi perfettamente con la musica, gli accenti e le parole di Aretha Franklin, per concentrarsi sul passo a due in armonia tra forze contrapposte dell’infinito.
Con “Microburst” Parsons accosta la sonorità indiana classica delle tabla, smembrandola in micro vortici, complici i costumi e le movenze dei ballerini che, in chiave attuale e con una punta di ironia, usano gli accenti per codificare un linguaggio verbale fantasioso, in un cocktail fatto di blocchi dello stile popping, afro, step e modern, con un fine puramente estetico-ritmico.
Se con “Hand Dance” David rende omaggio all’illusione ottica dei Momix e Moses Pendleton, con un gioco di mani immerse tra ombre e strisce di luci, riconducibili agli effetti ottici dei cartoni animati, per un risultato poetico e fanciullesco, la riflessione non tarda a suggerire altre emozioni custodite in coreografie prossime.
Ma è in “Round my World” che David Parsons ruota attorno al suo mondo. Un biglietto da visita che abbraccia e ripercorre le origini della danza moderna. Da Doris Humphrey a José Limón e Louis Falco, la circolarità, le spirali e i tilt fuori asse sempre con accento in levare, sono il leitmotiv che rende fluido il movimento in un abbraccio simbolico, inno alla gioia che ricorda a tratti la danza pittorica di Matisse.