Un testo uscito dalla coraggiosa penna di Michail Bulgakov (Kiev 1891, all’epoca ancora Impero russo – Mosca 1940) medico per scelta, scrittore e drammaturgo per passione malgrado i conseguenti stenti, problemi, divieti, censure, vessazioni… tanto che molti suoi scritti sono pubblicati postumi.
La stesura di Cuore di cane risale al 1925, ma in patria è censurato fino al 1987, mentre in Italia compare a metà degli anni ’60 (insieme a Il Maestro e Margherita, altro capolavoro di Bulgakov) ed è veicolato anche nelle scuole medie tramite riduzioni ad hoc.
Frutto della sua esperienza esistenziale, anche come medico, il volume in cui aleggiano costanti ironia, sarcasmo e indignazione angosciata offre diversi piani di lettura passati nella riduzione drammaturgica – “libera versione teatrale dal libro di Michail Bulgakov” come correttamente riportato dal libretto di sala – di Stefano Massini attento a renderne dinamici i contenuti complessi e di una attualità sconvolgente: cosa cambia sotto la volta del cielo se non la forma attraverso cui l’uomo si ripete manifestando debolezze, insicurezze e vizi che sembrano non debellabili?
Quasi a indicare l’immutabilità dei comportamenti umani nel tempo, lo spettatore è accolto a scena aperta in un contenitore teatrale atemporale nel quale si dipana la surreale storia di un singolare esperimento – fallito nel suo intento primario di essere un elisir di giovinezza, ma comunque foriero di un’inattesa trasformazione – che vede come protagonista Pallino, cane randagio, spelacchiato e ridotto alla fame, vittima dell’utopia ambiziosa del professor Preobražénskij. Si tratta di un medico nell’Unione Sovietica del 1925 – connotata da una società distopica che imponendo diktat senza tenere in considerazione le singole individualità finisce con il cancellare qualsiasi spiritualità – mosso dal desiderio borghese di arricchirsi e non certo dalla volontà di portare effettivo giovamento a qualcuno.
In fondo l’unico a modificarsi è Pallino che diverrà il “cittadino Pallinov”, esemplare ideale dell’uomo nuovo sovietico: ma si tratta di una vera rinascita o piuttosto di un’omologazione – non quella borghese per cui lo ha rieducato il medico – che lo rende comunque meno libero rispetto al suo precedente status canino facendo di lui una vittima sia del superego scientifico di Preobražénskij, sia di un collettivismo destrutturante: una dicotomia già di per sé ironica nel testo a dimostrare la sottile finezza critica bulgakoviana verso la creazione di un mondo di burattini in cui nessuno ha una propria personalità.
A Giorgio Sangati (classe 1981, diplomatosi attore alla Scuola di Teatro del Piccolo di Milano, all’epoca diretta da Luca Ronconi di cui è stato allievo e poi assistente, laureato a Padova in Scienze della Comunicazione, e regista de ‘Le donne gelose’ di Goldoni al Piccolo nel 2015) il Piccolo Teatro di Milano ha affidato la prima produzione del 2019 con un cast superbo: Paolo Pierobon nei panni di Pallino e Sandro Lombardi in quelli del Professore affiancati da attori di vaglia.
L’allestimento attraverso l’uso sapiente del linguaggio evidenzia un pessimismo totale nei confronti della razza umana sempre impegnata a livello sia singolo sia collettivo a costruire in modo ipocrita un qualcosa che soddisfi chi organizza le novità e non chi le riceve. Completano la resa teatrale le scene (di Marco Rossi) da laboratorio scientifico, i costumi (di Gianluca Sbicca), le luci (di Claudio De Pace), importanti in quanto ossessione di Bulgakov il quale ritiene che la luce elettrica sia creata dall’“uomo nuovo” in opposizione a quella divina, e le scelte musicali ben calibrate.
Un lavoro teatrale da non perdere e da completare a posteriori con la lettura/rilettura del testo di Bulgakov: un esercizio intellettuale pregno di soddisfazioni.