Sebbene sia tratto da una fiaba della tradizione piemontese, La montagna dei sette vetri non si caratterizza tanto per il testo, quanto per un aspetto visivo molto studiato e curato: la vicenda del principe innamorato di una ragazza fatata viene raccontata sulla e con la carta dei fondali di un cartone animato ripreso dal vivo, sopra i quali si muovono le figure disegnate dei personaggi realizzate da Simona Balma Mion.
Tutto ripreso da una videocamera, mentre i narratori – vestiti in caschi antinfortunistici e salopette, come a precisare la loro natura di “addetti ai lavori” rispetto allo spettacolo – danno vita ai personaggi cartacei (Thuline Andreoni), accompagnando la trama con interventi di piano, clarinetto ed effetti sonori (Marco Amistadi, anche autore e regista).
Lo spettacolo getta un ponte tra la tradizione fiabesca e l’innovazione scenica: un ponte che, a ben vedere, è insito nei generi del Teatro di Animazione e del Teatro di Figura, discipline performative le cui soluzioni tecniche hanno costituito i primordi del cinema. Un ponte, oltretutto, che unisce nella direzione inversa il Cinema di Animazione a una tradizione teatrale di figura, colore e incanto visivo.
L’abbigliamento particolare di Andreoni e Amistadi, che li fa sembrare appena usciti da un cantiere edile, potrebbe aver fatto alzare qualche sopracciglio, ma appare del tutto normale e adeguato se si considera che l’arte scenica – dal teatro al cinema e oltre – è anzitutto un lavoro tecnico (dal greco téchne, “tecnica” ma anche “arte”).
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La montagna dei sette vetri
trasposizione teatrale dall’omonima fiaba popolare
regia, musiche originali e live electronics Marco Amistadi
figurini Simona Balma Mion
animazione Thuline Andreoni
produzione Tecnologia Filosofica/Refrain e Unione Musicale Onlus