Lunedì 4 Febbraio, Teatro alla Scala
C. Debussy | Prélude à l’après-midi d’un faune
F. Mendelssohn | Sinfonia n.4 in la maggiore, op 90 „Italiana“
M. P. Musorgskij | Quadri di una esposizione
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Direttore | Valery A. Gergiev
Orchestra del Teatro Mariinsky
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Gergiev non si discute, si rispetta.
Lui con quel gesto ad anticipare, alcune volte, l’orchestra, altre, precedendola, ad assecondare non dirige ma modella il pensiero musicale, le intenzioni dei musicisti e la musica stessa.
Passate le polemiche di inizio carriera (bacchetta, non bacchetta, alla fine stuzzicadenti) la direzione di Gergiev non è più in discussione, proiettandolo, ancora in vita e si spera per molto, nell’olimpo della categoria, fra i mostri sacri.
Una serata d’ospiti.
Lui, storico direttore ospite della Filarmonica, alla testa (o meglio “con”, dato il mancato utilizzo del podio) della “sua” orchestra, del teatro Mariinsky, anch’essa ospitata dalla stagione della Filarmonica nell’appuntamento annuale che non vede protagonista la compagine meneghina.
Ad apertura quel brano definito introduzione del Novecento (Boulez dixit), il Prélude à l’après-midi d’un faune di Debussy.
L’approccio ieratico, quasi meditativo, della visione debussiana si manifesta come uno di quei pomeriggi domenicali di quiete e tranquillità più che di un generico pomeriggio faunesco.
L’abbondanza di dettagli, assecondati dalla gestualità quasi vibrata che ricorda il tirare arco degli strumentisti, riempe la tessitura altrimenti sfibrata dal metronomo scelto.
D’intermezzo la sinfonia di Mendelssohn forse un po’ schiacciata nella sua classicità da due brani così imponenti (uno per originalità stilistica, uno per dimensioni) ma ugualmente ben eseguita.
Di grande effetto il salterello finale, rampante e proiettato al gran finale.
Il brano di Musorgskij, invece, riecheggiava ancora fra le mura del Piermarini a distanza di due anni.
Era infatti il febbraio 2017 quando Gergiev stesso aveva diretto la Filarmonica in questo brano iconico (gioco del destino brano portato in tournée in Europa con Chailly).
Al tempo sottolineai “…una versione, teatralmente perfetta, i cui i passaggi fra promenade e quadri non vengono avvertiti come arresti ma come un fluire lento verso La grande porta di Kiev.
Timbri e particolari, generalmente silenziosi, squisitamente fatti risaltare.”
Certo tutte le versioni, se coerenti con la stampa, sono corrette ma mi sento di dire che la versione sentita l’altra sera, dirompente e roboante nei forti quasi a toccare l’esagerato, suonava molto più russo di quanto non fosse stato la volta precedente.
Se i quadri erano maggiormente incorniciati e ben delineati nella loro struttura, il passaggio da uno all’altro generalmente assorbiva ancora gli echi del precedente.
Piccola sorpresa per gli abitudinari della fuitina facile a fine concerto che non si sono potuti godere un bis dall’altissimo valore, simbolico e musicale.
Gergiev dopo il viaggio in mezza Europa del programma (Francia, Germani, Russia) con una capatina solo nel nome della sinfonia mendelssoninana all’Italia, ha dato il levare alla conosciuta (quanto temuta per la presunta sfortuna) ouverture della Forza del destino di G. Verdi.
Omaggio all’Italia (a febbraio ricorrono i 250 anni dalla prima alla Scala) ma anche un omaggio alla città dell’orchestra (S. Pietroburgo) dove la prima dell’opera verdiana fu eseguita nel 1862.
Prossimo appuntamento l’11 marzo con Edward Gardner e Igor Levit (pianoforte) per un programma dai vari autori come Janacek, Beethoven e Dvorak.