Si possono conciliare il western, l’opera e la montagna? Ci prova Amalia!, andata in scena in prima assoluta per la stagione OPER.A 20.21 della Fondazione Haydn di Trento e Bolzano. L’ambizioso progetto vide la luce al primo bando OPER.A 20.21 Fringe e nasce dalla collaborazione tra la regista Franziska Guggenbichler Beck, il drammaturgo Julian Twarowski e il compositore israeliano Michael Cohen-Weissert. Amalia! non è un’opera né un film, ma attinge a differenti linguaggi artistici per proporre una forma nuova di spettacolo piuttosto ibrida e posticcia priva di appeal.
La scena di Sigrid Ungerer è composta a destra da uno schermo dove viene proiettato il film con davanti un masso rimovibile e a sinistra l’orchestra. Guggenbichler Beck, assieme a Julian Twarowski, ha girato infatti un mediometraggio a Lucrez nella Val di Fosse, ambientandovi un western dal plot assai semplice quanto abusato, il classico triangolo lui, lei, l’altro che nel melodramma si risolve sovente in chiave baritono, soprano e tenore. Abituati a pensare al paesaggio del Far West americano, stentiamo a riconoscere nel panorama altoatesino qualcosa che vi rimandi, ancor di più se al posto dei nativi ci stanno i Krampus, figure demoniache della tradizione montanara a cui si rifanno anche i costumi di Nora Scheve. La fattura del girato è discreta, ricca di alcune felici intuizioni scenografiche tra cui un bell’interno evocante le atmosfere dei dipinti di Albin Egger-Lienz. Nei momenti in cui la proiezione si interrompe, i cantanti appaiono sulla scena, ma manca un lavoro di regia che eviti di far sembrare il tutto una recita oratoriale.
Michael Choen-Weissert, per l’occasione presente al pianoforte, concepisce la partitura di Amalia! come un collage di arie e motivi più o meno celebri. Ci sono Pagliacci, Anna Bolena, Un ballo in maschera, Bohéme, Fidelio, Mefistofele, La Wally, Evgeny Onegin, echi di Morricone e spaghetti western. Gli arrangiamenti per piccola orchestra sono interessanti, ma richiedono vocalità completamente diverse da quelle previste. Di contemporaneo c’è poco, un pastiche citazionista unito a una ricerca alquanto banale di Federico Campana sul soundscape alpino. La direzione di Marcus Merkel, alla guida dell’Orchestra Haydn di Trento e Bolzano, cerca di differenziare i vari linguaggi espressivi citati dal compositore.
Dei tre artisti chiamati a interpretare la dura vita del west montanaro Mirjam Gruber è la più intensa, capace di fraseggio incisivo, degna espressività e buona amalgama vocale. Entrambi i ruoli maschili, Jakob ed Ernest, impersonati rispettivamente da Matthew Peña e Andrei Zhukov, risentono di evidenti limiti nel registro acuto, sovente sforzato, e nella dizione.
Nutrita presenza di giovani tra il pubblico entusiasta e applausi per tutti alla prima del 9 febbraio.