Napoli. Anni ’70. Conflitti politici e sociali dividono l’Italia mentre Emilio (Francesco Di Leva), giovane con sogni di gloria di sapor londinese, cerca un impiego per mantenersi e mettere da parte i soldi per una vita migliore. Dopo il colloquio in un ristorante viene preso a fare il lavapiatti da Antonio (Ivan Castiglione), “boss” del locale con idee politiche ben precise in testa, fratello maggiore di Massimo (Andrea Vellotti), di cui Emilio si innamora a prima vista.
Questo il sostrato sottostante il testo plasmato da Mario Gelardi per la produzione Nest Napoli Est Teatro, in scena la settimana scorsa al Teatro India di Roma nel dittico comprendente anche Gli onesti della banda. La compagnia napoletana, astro ascendente del teatro contemporaneo italiano, mette a segno un altro colpo portando in scena uno spettacolo che parla al cuore degli spettatori con dolcezza ma anche durezza per la regia di Giuseppe Miale di Mauro.
L’omosessualità in teatro non è certo una novità ma da qualche anno anzi rappresenta uno dei “temi caldi” della nuova drammaturgia del linguaggio scenico italiano. Eppure 12 baci sulla bocca ha il merito di portare sul palco una storia abbastanza comune, dai dettagli sentiti e contenuti non di certo originali, ma ricca di particolari testuali e scenici che la rendono speciale.
Un palcoscenico privo di scenografia ad eccezione di qualche sedia e tre lastre di ferro poste al centro e ai due lati, “casa” dei tre personaggi durante i passaggi da una scena all’altra, identificazione di un luogo altro in cui riflettere, rifugiarsi, cercare il proprio io e farci i conti. La narrazione procede linearmente nel raccontare la vicenda dell’attrazione irresistibile tra Emilio, dolce ragazzo dichiaratamente gay e Massimo, dinoccolato e recluso dentro il completo elegante, etero per il mondo, al punto da sposare l’unica ragazza della sua vita. Mentre i preparativi per il matrimonio fervono e Antonio organizza tutto per il fratello ricevendo in cambio solo indifferenza per il grande passo, Emilio e Massimo si scoprono e si concedono l’un l’altro pian piano per esplodere in un incontro/scontro senza remore, indugi, tabù.
Somebody to love dei Queen accompagna il loro “rituale” d’accoppiamento, perché il loro unirsi è reso scenicamente attraverso una poetica danza di avvicinamento e allontanamento fatta di scatti, passi in avanti e prese di posizione mentre i due personaggi si spogliano, fino a giacere uno accanto all’altro sudati, stremati e in un certo senso sconfitti. La chiusura degli anni nei confronti del diverso, del “ricchione” di turno, porta i ragazzi a nascondere il loro legame, consci della pericolosità di Antonio e dei suoi amici. «Lo sai cosa fa mio fratello con la sua banda a quelli come te?» urla Massimo ad Emilio in preda alla frustrazione di non poter cambiare la sua vita.
Scambiandosi simbolicamente anche i vestiti, entrando uno nei panni dell’altro metaforicamente e scenicamente, i due continuano la loro relazione, consapevoli del pericolo corso ma non per questo meno attratti reciprocamente. Arriva il giorno del matrimonio e sul finire dei festeggiamenti, una voce priva di corpo avvisa Antonio della relazione tra i due. Massimo parte per il viaggio di nozze dopo mille raccomandazioni da parte del fratello mentre in quella Napoli, in quello stesso ristorante dove tutto ha avuto luogo si consuma una tragedia visibile solo negli occhi e nel sangue che cola sulla bocca di Emilio, in un finale scandito dai colpi della mazza sulla lastra di ferro, colpi regolari e assordanti, sordi ma soprattutto drammaticamente amari.