Serata ricca ed emozionante al Teatro Pertini di Orbassano, in un serata di fine febbraio. Il clima è quasi tiepido e la gente inizia ad uscire volentieri. Siamo oltre le cintura di Torino, quasi nel Pinerolese e lo spazio che ospita lo spettacolo è sempre ricco di iniziative e proposte nuove, sempre seguite da spettatori esigenti ed affezionati. Il tema scelto da Grazia Isoardi ed un gruppo di detenuti della Casa di Reclusione “Rodolfo Morandi” di Saluzzo (CN) è la paternità, “essere contemporaneamente figli (cresciuti senza padri) e padri (assenti)”. Non capita spesso di trovare proposte di questo tipo nelle programmazioni solite, anche in quei teatri più vicini alla ricerca e alla sperimentazione. Ed è un peccato. Ovviamente quello di dare la possibilità ad un gruppo di detenuti ed ex è comunque un azzardo, una proposta che potrebbe non essere compresa da tutti e che si porta dietro una serie di problemi da risolvere. Dagli orari da rispettare alle misure di sicurezza, dalla non equiparazione alle altre compagnie teatrali, dalle prove sul palco e a chissà quali altri problemi che si affacciano via via, di cui non siamo a conoscenza. Ma come tutte le cose difficili si porta dietro anche soddisfazioni e ricchezze.
A tutti noi che abbiamo assistito a questo spettacolo aperto – nel senso che il numero degli attori non è mai lo stesso, dipende da quanti sono “disponibili”, dai permessi che riescono ad ottenere e da molte altre variabili – si è aperto un mondo nuovo. Uno squarcio di luce sulla dura realtà del carcere, sulle difficoltà a volte insormontabili che affrontano coloro che, ostinatamente ed in direzione contraria, cercano di proporre attività utilissime per una effettiva consapevolezza degli errori compiuti, e sono una percentuale altissima (riconosciuta da molti studi sociologici effettuati) coloro che non rientrano in galera una volta scontata la pena. E loro parlavano di isola felice, della fortuna che hanno, nonostante il carcere di Saluzzo ospiti più di 500 persone con un paio di di animatori operativi, di poter fare un’attività che nella loro condizione è davvero da privilegiati. Scenografie quasi nulle, a parte 8 sedie come 8 è il numero degli attori quasi sempre in scena, molta corporeità, musiche ritmate e tipiche di certi spazi, dinamiche classiche delle case di reclusione si affacciavano spesso nella recitazione, che davano il senso di ciò che stavamo “vivendo”.
La storia è semplice, 8 figli attendono l’arrivo del padre che li ha abbandonati 20 anni prima, ognuno ha in serbo un regalo da dargli e c’è questa urgenza di fare festa e di raccontarsi. Non lo fanno mai direttamente, ma attraverso poche parole, gesti o accenti particolari, danze e balli che acquistano qui ed ora un valore unico.
È uno spettacolo collettivo, vicino al coro greco e la sua forza sta proprio nel gruppo, nello stare insieme, nel costruire gomito a gomito. Il pubblico si è fermato ben oltre la fine perché tutti gli attori, regista compresa, desideravano comunicare con noi, erano felici nel raccontarsi, nello scambiare poche parole con chi dimostrava di apprezzarli. Un ragazzo ha detto “Dovremmo prendere esempio da loro”, e subito tutti loro si schermivano dicendo “No, no, non dovete fare le nostre scelte” ma egli intendeva la strada da percorrere per uscire da una situazione che scopri sbagliata. C’erano molti ragazzi e ragazze ad assistere allo spettacolo e forse questo è un buon modo per presentare lati e aspetti poco piacevoli della vita, ma che ne sono comunque parte integrante.
A seguire After Teatro offerto da Pasticceria Jerry, pasticcini e pizzette per tutti. Molti sorrisi sul viso degli spettatori che uscivano.
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AMUNÌ
di Grazia Isoardi
con i detenuti della Casa di Reclusione di Saluzzo
coreografie Marco Mucaria
durata 55’
Gli interpreti dello spettacolo sono i detenuti della Casa di Reclusione di Saluzzo, nella quale Voci Erranti lavora dal 2002.
Amunì parte dalla riflessione dei detenuti in sul tema della paternità, dell’essere contemporaneamente figli (cresciuti senza padri) e padri (assenti).
Ora questi figli vivono nell’attesa del ritorno alla libertà e nel frattempo, diventati loro stessi genitori, attendono il ritorno del padre proprio come Telemaco fece con Ulisse.
Amunì è la storia di nove fratelli che attraverso i giochi e i ricordi dell’infanzia ritornano a loro volta bambini.
Telemaco ha atteso il ritorno del padre, ha pregato affinché si ristabilisse nella sua casa invasa dai Proci (la Legge), ma oggi ogni speranza è vana o vanificata.
Il Laboratorio Teatrale della Casa di Reclusione “R. Morandi” di Saluzzo (CN), diretto da Grazia Isoardi, ha avuto inizio nell’ottobre 2002 ed è attività permanente per un gruppo di venti detenuti delle sezioni comuni che, ogni anno, nell’ambito degli eventi culturali del settembre saluzzese, portano in scena unnuovo spettacolo aperto alla cittadinanza. L’attività si svolge tre volte alla settimana, comprende unpercorso di formazione teatrale che privilegia il lavoro corporeo e la costruzione di azioni teatrali di gruppo. Obiettivo fondamentale è quello di formare un gruppo capace di ascoltare se stesso e gli altri in un contesto creativo che faciliti l’amicizia e il rispetto.