Lunedì 18 marzo, Teatro alla Scala
M. Ravel | Ma mère l’oye
M. Ravel | Daphnis et Chloé (Suite n.2)
P. I. Čajkovskij | Sinfonia n.6, op.74 „Patetica“
Direttore | Gianandrea Noseda
Filarmonica della Scala
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La direzione d’orchestra è un lavoro di mente.
Studio, lettura, scelte interpretative.
Ed è un lavoro di braccio perché dopo una preparazione che dura tutta una vita, ci sono il podio, il leggio, l’orchestra.
Lì, più che da altre parti, il direttore veicola il suo pensiero attraverso un movimento, amplificato dalla bacchetta, e trasmette con il proprio essere la sua idea di musica.
La direzione di Gianandrea Noseda è muscolare, quasi violenta in alcuni punti, “ballata” in altri, muove ogni fibra per la trasmissione del suo ideale musicale. E lo fa senza inficiare il suono dell’orchestra, senza perdere e anzi pretendendo uno spettro dinamico ben delineato, privo di debordanti fortissimi che potrebbero essere, invece, una naturale conseguenza di un gesto così vigoroso.
Un esempio è stato Le Jardin féerique (trad. Il giardino fatato), ultimo movimento di Ma mère l’oye con il suo sgargiante crescendo finale mai estremizzato.
Sesto appuntamento della stagione sinfonica del Teatro alla Scala, originariamente programmato per la direzione di Myung-Whun Chung, il concerto di lunedì 18 marzo ha avuto come protagonisti Ravel e Čajkovskij.
Il primo è risultato un po’ ingabbiato nel tipo di narrazione proposta da Noseda che meglio si presta ad una sinfonia romantica.
Il dettaglio strumentale o sonoro dell’orchestrazione, sacrificato sull’altare della miscela orchestrale, era sì presente ma non protagonista.
Così, ad esempio, è scaturita una versione più lussuriosa della seconda suite dal balletto “Daphnis et Chloé” rispetto all’amore bucolico e quasi innocente descritto nel brano.
Il secondo, invece, è diventato protagonista di una esposizione che ha mostrato, qualora fosse necessario tutta l’ascendenza russa di Noseda. Una prova sinfonica priva di spicciola enfasi sui punti più orecchiabili, ben calibrata su alcuni dettagli e in cui l’intenzione ritmica, sempre presente e proiettata in avanti, ha fatto da tratto distintivo.
Anche a costo di sacrificare per questo ideale la sezione intermedia del terzo movimento penalizzata dal ritmo incessante.
Anche qui il lavoro dinamico ha permesso la creazione e l’accumulazione di una forza tensiva riuscita nell’incredibile effetto di non ingannare il pubblico fra il prorompente e parossistico finale del terzo movimento, vero climax da applausi, e il desolante inizio del quarto movimento.
Tensione che è durata ben oltre l’ultimo eco del tema in dissolvenza ai violoncelli e oltre anche l’ultimo impulso ritmico dei contrabbassi, oltre il bacio del direttore alla partitura oramai chiusa, fino alle braccia a riposo per spezzare definitivamente il silenzio del pubblico.
Ottima prova dei solisti che guidati e guidanti si sono sempre fatti trovare pronti anche nei passaggi più ostici.
Applausi e ovazioni che fanno ben sperare nell’accoglienza che gli verrà tributata per il suo ritorno nelle prossime due stagioni operistiche (previsto un titolo italiano in una, uno russo nell’altra).
La stagione riprenderà ad inizio maggio con il ritorno in Scala di Zubin Mehta con l’esecuzione dell’ottava sinfonia di Bruckner.