Se volessimo definire una pièce teatrale che mette insieme Sofocle, Tenco e Ilaria Cucchi, si potrebbe dire che Antigone – monologo per donna sola è una rivisitazione moderna della tragedia greca. E non sarebbe sbagliato, piuttosto incompleto. Il testo che Debora Benincasa scrive e interpreta è una trasmigrazione nell’era contemporanea del personaggio di Antigone, una viva eredità del patrimonio tragico, quasi una metempsicosi, tanto per rimanere in Grecia. Certo l’attrice è una, non ci sono altri personaggi né coro, certo il linguaggio è moderno, talvolta gergale, e la scenografia minima, praticamente assente. Certo, però.
Però, quel nastro rosso che Debora Benincasa porta legato al polso, con cui si cinge la fronte, che scioglie e riannoda, tiene stretta all’altro capo l’Antigone originale.
Però, Antigone donna sola mantiene la stessa caparbietà, la stessa ribellione di Antigone personaggio sofocleo. L’intuizione di questa resa, con la regia di Amedeo Anfuso, è quella di imitare l’originale, prima di tutto, nella capacità di scuotere il pubblico. Una storia millenaria, studiata sui banchi di scuola, che ha calcato innumerevoli palchi, ha bisogno di una metamorfosi radicale per continuare a smuovere gli animi. L’Antigone di Anomalia Teatro si ribella due volte, a Tebe e sulla scena, riuscendo nel difficile tentativo di reincarnare, più che il personaggio in sé, quello che il personaggio impersona e consegna allo spettatore.
«Per assistere a una tragedia greca è necessaria una certa predisposizione d’animo. […] Magari voi siete delle persone felici… Ecco, dovete smettere di esserlo». Diretto, inoppugnabile. Ingannevole. L’idea vincente di questo monologo è creare un’atmosfera positiva, serena a inizio spettacolo, smorzare subito con l’ironia quel po’ di reverenza che in teatro, ancora, aleggia. Per poi tirare la stoccata finale. Come nella vita della protagonista – a dire il vero mai fortunata, come narrato nel prologo – anche nell’esperienza teatrale dello spettatore l’evento tragico sopraggiunge repentino, in tutta la sua veemenza. La tragedia è quello che mi aspetto, perciò non mi sorprenderà se non avrò prima sorriso e disteso i muscoli, illudendomi di assistere a una commedia.
Antigone è figlia di Edipo e sorella, oltre che di Ismene, di Eteocle e Polinice, i quali, entrambi eredi al trono di Tebe, si sono dati l’un l’altro la morte. Il primo, però, avrà diritto alle onoranze funebri come protettore della città, mentre il secondo rimarrà insepolto perché ha mosso guerra contro il fratello e dunque contro la città patria. E proprio ai «cittadini della sua terra patria» l’Antigone donna sola si rivolge all’inizio dello spettacolo, per raccontare la sua vicenda; non alla sorella Ismene, come fa l’eroina sofoclea, per chiederle l’appoggio nell’impresa che sta per affrontare: seppellire il fratello, ribellandosi agli ordini di Creonte. Questa scelta è già significativa di un intento tanto antico quanto attuale, quello di svegliare le coscienze della platea, dei concittadini di Antigone, soggetti come lei alle leggi umane, oltre che a quelle divine. Creonte non è meno passibile di errore di quanto non lo sia Antigone stessa, eppure è lui a decidere per il corpo del defunto Polinice. La giovane sa di provocare la furia del re, di mettere a repentaglio la propria libertà, di doverne pagare poi le conseguenze. Sa però, sopra a tutte queste cose, che si batte per una giusta causa e che non potrebbe vivere un’esistenza felice senza aver provato a cambiare le cose. Come Ettore, Donchisciotte, Aureliano Buendìa. Come Ilaria Cucchi, Giuliano Giuliani, Carlo Regeni.
Antigone – monologo per donna sola è una riflessione a voce alta e denti stretti sull’eroismo: a chi dedicheremmo, oggi, un’opera teatrale. Se tragedia o commedia. Che cosa saremmo in grado di fare per cambiare il finale.