Pietro (Luigi Ippolito) è un ragazzino lucano che vive a Milano col padre e la sorella Nina (Pamela Pasquini). Un’estate i due fratelli vengono mandati dai nonni, giù ad Arigliana, per trascorrere dei mesi che si preannunciano tranquilli e monotoni, inevitabilmente malinconici, ma che si rivelano poi tutto il contrario. Accuditi dai nonni – come li chiamano loro – (Enza Tucci e Niki Polese) e circondati dagli amici di sempre (Marco Mannucci, Ilaria Vasarri, Marco Rinaldi) Pietro e Nina sembrano sprofondati nella quieta immobilità dei paesini di montagna, ovattati in una piccola realtà meridionale che nemmeno le trasferte estive scuotono. Un giorno, però, un pallone calciato male costringe Pietro ad avventurarsi nella zona della vecchia torre normanna, dove non va mai nessuno, e a scoprire qualcosa di inaspettato che cambierà le sorti di quell’estate, di Arigliana e di tutti i protagonisti della storia. Questo qualcosa in realtà è un qualcuno: sono Enam (Jelena Dzankic) e Josh (Andrea Simone) e abitano lì perché non sanno dove altro andare. Vengono da lontano, sono scappati dalla loro terra e hanno viaggiato a lungo per arrivare su quella montagna. Sarà perché, invece, lui da Arigliana è andato via, sarà perché ha undici anni, sarà perché un po’ straniero si è sentito anche lui, quando è arrivato a Milano e pure quando è tornato in Basilicata, sarà perché sua mamma (Daniela Burrini) è ancora più lontana di qualsiasi paese straniero, ma gli sta vicino ogni giorno. Sarà, ma Pietro non si sente diverso da Enam e Josh, anche se in paese loro vengono accolti solo da zi Salvatore (Tommaso Capecchi), che non sembra avere tutte le rotelle a posto. Ma, forse proprio grazie al suo vivere sopra le righe, fuori dagli schemi, vede nell’arrivo di questi due ragazzi una ventata d’aria fresca, un’improvvisa pioggia estiva, di fronte alla quale si può decidere se preoccuparsi per i panni stesi o alzare il naso lasciandosi sfiorare dalle gocce.
Mi chiamo Pietro (regia di Jacopo del Sole, aiuto regia Sara Cugnetto e Gabriele Benedetti, scenografie Emanuele del Sole) è tratto dal romanzo E tu splendi (Feltrinelli, 2018) di Giuseppe Catozzella, già vincitore del Premio Strega Giovani nel 2014, e fa parte della rassegna Luoghi di – Confini che la compagnia Dietro le quinte teatro ha realizzato in collaborazione col Quartiere 5 di Firenze.
Dietro le quinte non è una compagnia di attori professionisti, ma di appassionati di storie che hanno la voglia di raccontarle agli altri attraverso il teatro, affrontando i temi dell’attualità con la morbidezza e la precisione del palcoscenico. Il protagonista di questo spettacolo accompagna il pubblico in un viaggio unico, ma simile a tanti, un viaggio che misura la distanza tra noi e gli altri, per scoprire che la cifra dipende solo da noi e dal metro che vogliamo utilizzare. “Mi chiamo Pietro”, ma potrei chiamarmi Alessandra, Matteo, Luigi. “Mi chiamo Pietro” e vi racconto come quello che vedete al telegiornale è solo una piccola parte della storia delle persone: oltre lo schermo, dietro le facce più o meno scure, c’è una vita fatta di case e famiglie, di sandali e magliette, di pane e di sale. «Le cose che hanno dentro il sale sono il sudore, le lacrime e il mare» come dice zi Salvatore a Pietro. Enam e Josh le conoscono tutte e tre molto bene.
Per evitare di rimanere incagliati tra gli aforismi e i lieti fini di provincia, tra primo e secondo atto vanno in scena le immagini reali di un naufragio, al largo dell’Italia di oggi. Senza alcun primo piano, passibile di patetismo, a parlare sono solo le voci distanti tra un medico a bordo e un’impiegata sulla terraferma, a mostrare come la vita delle persone, con la loro carne arsa dal sole e dal mare, si infranga come un’onda sullo scoglio delle parole, dell’interpretazione delle normative, della politica della paura. Di tutto ciò che – con le parole di Pasolini, prese in prestito da Catozzella – insegna a non splendere. E tu splendi, invece.