C’è attesa nella cornice del suggestivo Teatro del Grillo” di Soverato dove andrà in scena domenica 17 marzo “Prima di andar via” la cui regia è affidata al soveratese Francesco Frangipane. Ebbene, la storia è quella di una bella famiglia normale, felice e dunque unita. Però può accadere che una tranquilla cena familiare si possa trasformare in tragedia a causa di un inaspettato annuncio. In quel frangente, cinque personaggi si fronteggiano come pugili su un vero e proprio ring. Un figlio che affonda il primo colpo. Inaspettato. Impensabile. Padre, madre e sorelle che accusano il colpo, un colpo tremendo che va a segno. E barcollano, arrancano, indietreggiano fino all’angolo, cercano di riprendersi e reagiscono, lo attaccano, lo scuotono, ma senza riuscire a colpirlo. Una notte drammatica dove, colpo su colpo, si confrontano/scontrano padre e figlio, madre e figlio, sorelle e fratello in un viaggio ora violento ora tenero nelle mille sfumature della psiche e dell’animo umano. Tra i protagonisti gli attori: Giorgio Colangeli, Michela Martini, Vanessa Scalera, Silvia Siravo e Filippo Gili. “Dirompe l’amore, – si legge nella nota dell’autore Filippo Gili che è anche uno degli attori protagonisti – in questa piece che ho scritto. Rompendosi violentemente un sentimento, e più diabolicamente un’affettività. La famiglia ne esce con le ossa rotte, ma in piedi. Il tormento di un uomo solo mantiene salde le sue ossa, ma rimane a terra. E’ la storia di una notte drammatica, dove le colluttazioni che legano padri madri e figli, sembrano il rovescio di una vita intera, un istante sempre possibile nel mare magnum del silenzio. Tutto, tutto, girando sempre intorno a un Ego che non si dissolve mai: e nonostante l’impensabile, l’incredibile, l’ignoto, si presenti a cena…”. “Prima di andar via rappresenta la prima tappa di un intenso percorso drammaturgico e teatrale – si legge in una nota del regista Frangipane – in cui si vogliono affrontare grandi temi universali, come la vita e la morte, il destino e il libero arbitrio. Qui la morte viene vista come possibilità di salvezza e il protagonista la invoca in nome della libertà e della volontà di poter essere artefice del proprio destino, assumendosi la responsabilità degli effetti devastanti che questa scelta provocherà nelle dinamiche sociali, e in particolare nel luogo in cui si è scelto di focalizzare l’attenzione: la famiglia. Un microcosmo che ci permette, proprio grazie alla riconoscibilità di situazioni familiari quotidiane, di predisporre il pubblico ad un meccanismo automatico d’immedesimazione e di catarsi. Tutto ciò facilitato da un’idea di allestimento che vuole tenere il pubblico dentro la scena, che accompagna lo spettatore per mano dentro la storia stessa e lo induce a condividere le emozioni dei personaggi, tanto da farsi carico delle domande e dei dilemmi che travolgono i protagonisti”.