Dittico affascinante quello proposto dall’Opera di Wiesbaden che accosta il Barbablù di Bela Bartók ai Die sieben Todsünden (I sette Peccati Capitali), “balletto cantato” messo in musica nel 1933 da Kurt Weill su libretto di Bertolt Brecht.
Dopo il debutto avvenuto nel 2015, il Barbablù creato da Uwe Eric Laufenberg torna in palcoscenico con un cast superbo. Johannes Martin Kränzle e Vesselina Kasarova si immedesimano nei protagonisti dello psicodramma di Bartók con raffinatezza vocale e scenica e ne raccontano la vicenda di progressivo straniamento. Sono due amanti borghesi di mezza età che si incontrano nella lobby di un grande hotel, che poi si trasforma in una camera di albergo dove si gioca tutto il dramma della incomunicabilità fra il Duca e la sua nuova signora.
Lui in abito business grigio scuro, lei in lungo. Tutto all’insegna di un certo disincanto. Lui più distaccato, un po’ narciso, apparentemente sempre sicuro di sé. Si vede però che in fondo è svuotato. Annoiato e senza più riserve sentimentali da mettere in gioco. Lei cerca di scuoterlo e certi slanci, certi momenti di breve allegria, farebbero pensare che una conclusione felice sia ancora possibile. Intanto il viaggio attraverso le sette porte del maniero della fiaba si riduce a oggetti e gesti ordinari. Il dono di un cofanetto di gioie simboleggia il tesoro di Barbablù. I segreti inconfessabili nascosti in un laptop la camera della tortura.
Mazzi di fiori gettati sul letto sono il giardino lussureggiante del palazzo del Duca. L’arredamento essenziale della camera (scene di Matthias Schaller e Susanne Füller) concentra ulteriormente l’attenzione sulla coppia. Dopo l’apertura simbolica della quinta porta, il momento centrale (anche musicalmente con il grande crescendo) dell’atto unico di Bartók, i segnali di contrasto fra i due si fanno più evidenti e si progredisce fino alla catastrofe finale. Lui è arreso, si è reso conto di aver perso la partita emotiva. È scosso dai tremori di un attacco di panico. Finché non accoltella la donna e Judith va a riunirsi alle altre vittime di Barbablù. Lui si riveste ed esce di scena dallo stesso ascensore con cui è arrivato. Un normale assassino seriale. Lo spettacolo di Wiesbaden è perfetto, nel suo minimalismo lineare, per mettere in risalto l’eccellenza dei due protagonisti. Johannes Martin Kränzle cesella la parte di Barbablù con grande autorità vocale, riempiendola di tutti i pieni e i vuoti essenziali. Un canto privo di ogni asprezza e una recitazione finissima tracciano nei dettagli la figura di un dongiovanni elegante e disincantato che in fondo ama solo se stesso e che porta un abisso dentro di se. Vesselina Kasarova è una partner ideale, che ricrea con vocalità prodiga di colori scuri e gesto voluttuoso i trasporti sentimentali di una donna che vorrebbe amare ma che in fondo soccombe. L’orchestra dell’opera di Wiesbaden, ai comandi di Philipp Pointner, suona con precisione ed equilibrio e lascia il giusto spazio alle due star. Una volta calato il sipario, la platea tributa tutto il proprio plauso ai protagonisti.
Questo Barbablù da solo avrebbe meritato il viaggio a Wiesbaden, ma la serata offre un piacevole supplemento e dopo l’intervallo si passa dalle sette porte di Bartók ai sette peccati capitali della satira sociale della premiata ditta Weill/Brecht. Magdalena Weingut trasforma il balletto in una piccola opera da camera e ne accentua gli aspetti più parodistici, mettendo sullo sfondo quelli moralistici à la Brecht. In una scenografia ridotta al minimo (una gran vasca bianca al centro del palco è il massimo che ci si concede), una spumeggiante e istrionica Nicola Beller Carbone si immedesima nella giovane Anna ,spedita dalla famiglia a giro per l’America per far fortuna e permettere alla sua bislacca famiglia (un quartetto tutto maschile, madre inclusa) di comprarsi un “casetta in Louisiana”. Far fortuna con ogni mezzo, ovviamente. Tutto lo spettacolo fa leva sulle doti vocali e sulla recitazione brillante del soprano che canta, sospesa fra opera e cabaret, balla elegante e marcia statuaria fra un cambio di costume e un altro. Una performance esuberante che ci guida in questa breve saga di perdizione. Sullo sfondo la famiglia caricaturale di approfittatori, tutti barbuti e molto southern), che coralmente commentano le gesta della sorella. Ne esce uno spettacolo effervescente e un po’ onirico, anche grazie ai bei costumi di Katarzyna Szukszta, che diverte il pubblico ed è salutato da applausi calorosi.
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Herzog Blaubarts Burg (A Kékszakállú Herceg Vára)
Béla Bartók (1881 – 1945)
Opera in un atto
Libretto di Béla Balázs
Prima rappresentazione, Budapest, 1918
In ungherese con sovratitoli in tedesco
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Die sieben Todsünden
Kurt Weill (1900 – 1950)
Libretto di von Bertolt Brecht
Prima rappresentazione, Parigi, 1933
In tedesco con sovratitoli in tedesco
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Herzog Blaubarts Burg
Direttore Philipp Pointner
Regia Uwe Eric Laufenberg
Scene Matthias Schaller, Susanne Füller
Costumi Susanne Füller
Luci Andreas Frank
Drammaturgia Katja Leclerc
Herzog Blaubart Johannes Martin Kränzle
Judit Vesselina Kasarova
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Herzog Blaubarts Burg
Direttore Philipp Pointner
Regia Magdalena Weingut
Scene Matthias Schaller
Costumi Katarzyna Szukszta
Luci Oliver Porst
Drammaturgia Regine Palmai
Anna Nicola Beller Carbone
La madre Florian Küppers
Il padre Ralf Rachbauer
Primo fratello Julian Habermann
Secondo Fratello Daniel Carison