Meraviglia, gioco, spaesamento. Le opere di Paola Pivi provocano e stupiscono: sarà perché lavora sul fuori scala e sul fuori contesto, perché gli oggetti vengono alterati nell’utilizzo e poi rifunzionalizzati, perché ogni sua creazione è permeata di stravaganza e divertimento. L’immagine è potente, la fruizione è diretta ed emozionale, il risultato è sempre bizzarro, spiazzante, improbabile. “Noto che le persone cui piace il mio lavoro amano la vita o i sogni. Sono simili a me, persone senza paura”, ha detto in una recente intervista. E proprio come i sogni sono le sue opere: situazioni insolite, materiali ordinari tenuti assieme con nessi straordinari, il nostro mondo presentato in modo nuovo.
Paola Pivi è tra le artiste più apprezzate a livello internazionale, le sue opere sono ospitate nei musei e nelle gallerie di ogni latitudine. Nata a Milano nel 1971, da alcuni anni vive ad Anchorage, in Alaska. È un’artista poliedrica, dagli interessi molteplici (dalle installazioni alla fotografia, dai dipinti al video), ma tutti contrassegnati da un’insopprimibile esigenza di libertà, di sfida all’impossibile, di sovvertimento della realtà. Ed è dunque un’occasione imperdibile la mostra “Paola Pivi. World record” (curata da Hou Hanru e Anne Palopoli), visibile al Maxxi (Museo nazionale delle arti del XXI secolo) di Roma fino a domenica 8 settembre: un progetto site specific molto coinvolgente, che presenta opere storiche e lavori più recenti.
La mostra in realtà comincia all’esterno della splendida struttura disegnata dall’architetto anglo-irachena Zaha Hadid. Nel piazzale del Museo, infatti, c’è il pluripremiato “Untitled”: un aeroplano Fiat G.91 messo sottosopra (con cui vinse nel 1999 il Leone d’Oro alla Biennale di Venezia). Il cacciabombardiere, posto così a terra e per di più rivoltato, perde del tutto il proprio contenuto di violenza, sembrando soltanto un grande oggetto assurdo, una tartaruga di ferro che non riesce a raddrizzarsi. Per le sue opere lo scrittore e curatore americano Jens Hoffmann ha parlato di “impenitente semplicità”, rimarcando come nelle sue creazioni “le cose ordinarie diventano nuovamente strane”, e ci sembra un’azzeccata chiave di lettura per l’universo artistico di Paola Pivi.
La monografica prosegue nella Galleria 5, posta all’ultimo piano del Maxxi. L’ingresso della sala è occupato dalla grande “Share, but not fair”: una distesa di 500 cuscini tubolari gialli e rossi annodati, realizzati con i tessuti degli abiti dei monaci tibetani, sospesi sulle teste dei visitatori, che danno nel contempo un’immagine di precarietà e leggerezza. Ci sono le miniature di divani imbevute di profumo e c’è il piccolo cubo in plexiglass denominato “Scatola umana”. C’è un’intera parete coperta da telai di ruote di bicicletta provvisti di motore, da cui si irradiano lunghe piume di pavone o di fagiano: l’effetto è quello di una bizzarra girandola, oggetto familiare e ipnotico, un surreale acchiappasogni. C’è la grande pelle d’orso realizzata con materiale sintetico (“Did You know I am single?” è il titolo) che sembra più un grande pelouche che un trofeo di caccia.
A dare il titolo alla mostra è “World Record”: due enormi nere piattaforme orizzontali, una poggiata a terra e l’altra sospesa dal soffitto, rivestite di un centinaio di materassi bianchi, disposte appunto una sopra all’altra a distanza di neanche un metro. “Mi piace vedere la gente che sale e perde a mano a mano di serietà, per iniziare a gattonare da una parte all’altra. È proprio quello che volevo”, spiega Pivi. Ed è proprio quello che succede: ci si tolgono le scarpe e ci si arrampica per entrare a quattro zampe in questo spazio morbido, dove i bambini rotolano, gli adulti strisciano sui gomiti o sonnecchiano, le coppie restano allacciate come se fossero su un prato. Ci si diverte, si gioca, ci s’incontra in questa camera imbottita di risate, sorrisi, possibili seduzioni. I sensi si accendono, i corpi si flettono, l’aria si satura di spensieratezza, meditazione, magica realtà.