La mitica Pulzella d’Orléans torna a calcare il palcoscenico con la passione e il vigore fisico di Monica Guerritore, dopo il grande successo riscosso più di un decennio fa in oltre 500 repliche.
Autrice, interprete e regista, l’attrice incarna la forza dirompente di un’eroina che travalica la sua identità femminile imponendo un’idea universale di appartenenza civile che l’ha resa simbolo nazionale francese.
“A dieci anni di distanza ho deciso di riprendere lo spettacolo perché ne ho sentito in me e nel pubblico la necessità. E di nuovo sferzo il mio corpo e il mio cuore perché restituiscano ancora una volta sul palcoscenico la forza immensa del ‘coraggio’. Mentale, carnale, spirituale. Forza di cui noi tutti abbiamo bisogno” afferma la Guerritore.
Questa figura coraggiosa ed estrema ora la consegna a Severine Cojannot che la riproporrà a Parigi. Ma non sarà un commiato definitivo, perché “magari con le stampelle, continuerò a raccontare questa storia di coraggio”.
Giovanissima pastorella analfabeta, ritenendo di essere stata scelta da Dio per salvare la Francia dagli inglesi seguendo le voci che la ispirano, Giovanna riesce a convincere il Delfino a guidare l’esercito contro i soldati di Enrico VI, liberando Orléans dall’assedio, avendo conquistato col proprio carisma le truppe e la popolazione. Dopo essere stato incoronato re, Carlo VII la lascia sola a combattere, cosicché viene ceduta agli inglesi nel 1430 come bottino di guerra, accusata di eresia ed empietà e condannata ad essere arsa viva sulla piazza di Rouen il 31 maggio 1431. Riabilitata, verrà canonizzata nel 1920 da Benedetto XV.
La sua vicenda umana è stata fonte di ispirazione per drammaturghi e compositori, come simbolo di spirito patriottico e fede eroica.
Monica, indossata in scena l’armatura e sguainata la spada, assume icasticamente le sembianze di Giovanna esprimendo un pathos che la accomuna ad altri eroi del nostro tempo, le cui immagini scorrono nelle video proiezioni di Enrico Zaccheo: lo spirito rivoluzionario di Che Guevara, la visionarietà di Martin Luther King, l’utopia del giovane che ha fronteggiata col corpo inerme il carrarmato in piazza Tienanmen a Pechino, il realismo espressionistico nei primi piani dei volti dei giudici nel film La passione di Giovanna d’Arco di Dreyer, e citazioni tratte dal De Immenso di Giordano Bruno.
La tessitura del testo, poetico e struggente, raccorda estratti degli Atti del processo, versi di Maria Luisa Spaziani, brani di Nietzsche, Brecht, Plotino, Buddha, del filosofo Umberto Galimberti, della psicanalista Clarissa Pinkola Estes, del letterato Norman O. Brown, accompagnati dalla colonna sonora che spazia tra Craig Armstrong, i Queen, i Carmina Burana, Barber, la Petite Messe Solemnelle con un coinvolgimento emotivo che accompagna Giovanna ai suoi ultimi tragici istanti, mentre grida ostinatamente “Dio è in me e io lo ascolto”.
La Guerritore, nel gioco di luci di Pietro Sperduti ondeggia e inarca il corpo plasticamente, sotto il peso delle parole terribili e definitive che sanciscono la sua condanna, monumentale emblema di volontà di agire per difendere la Patria e di reagire per salvare l’Anima, col coraggio della Verità contro l’ingiustizia del potere
Di Pietro Biondi, Enrico Zaccheo, Stefano Artissunch e Raffaele Latagliata le voci fuori scena.
Dopo gli applausi calorosi, l’attrice ci regala l’ultima citazione: “Una donna non muore se da un’altra parte un’altra donna riprende il suo respiro” della scrittrice Hélène Cixous.