Simone Cristicchi, l’autore di “Magazzino 18”, dedicato all’esodo del popolo frontaliero istriano dalle terre natali destinate a non essere più italiane, torna alla Sala Umberto con un monologo intimista e toccante, di grande sensibilità artistica, a ricordarci, per dirla con Zygmunt Bauman, che non è vero che la felicità significhi una vita senza problemi, la vita felice viene dal superamento dei problemi, dal risolvere le difficoltà. Basta affrontare le sfide con semplicità e con leggerezza d’animo.
Il musicista e performer romano interpreta Raffaello, un quarantenne con un’infanzia segnata da una profonda solitudine, il quale, in una stanza di ospedale, incontra oramai vicina alla fine la madre che lo aveva abbandonato in orfanotrofio.
Così Raffaello, dopo lunghissimi anni di attesa, può finalmente rivolgersi a sua madre (la cui assenza è anche fisica sulla scena), in un monologo struggente, ma che non sempre scalda i cuori, in cui ripercorre la propria vita da adulto senzatetto vissuta in un cono d’ombra, e narra, con stupore infantile, il miracolo dell’esistenza che rende tollerabile la felicità e la sventura, temperandole d’amaro e di dolce e facendone due cose ugualmente piacevoli al ricordo.
Nella sua narrazione poetica Raffaello descrive i volti e anche gli oggetti, insieme agli episodi minimi eppure carichi di significato che hanno connotato la sua esperienza.
Uno spettacolo-racconto denso e sincero, diretto dalla mano esperta di Antonio Calenda, che sa scendere nell’anima e nei conflitti individuali, mettendo al centro dell’esistenza l’infanzia, perché il bambino ha spontaneità, ingenuità e meraviglia. L’unico che fa sentire la sua voce è l’artista, il poeta, che guarda la realtà con occhi stupiti, che conserva l’umiltà e, per questo, riesce a entrare in contatto con la realtà come se la vedesse per la prima volta, al contrario dell’adulto che spesso è condizionato dall’abitudinarietà e dall’assuefazione.
Sospeso tra umanità e commozione Cristicchi sembra una nuvola in cielo, mentre calca una scena completamente bianca e va mulinando parole che, in un continuo crescendo, segnano la trasformazione di una lacerante ferita in un’infinita bellezza grazie al potere dell’arte, in un’evoluzione peraltro ben visibile sulla salopette indossata dal cantante-attore che si colora via via, ad ogni ingresso in scena, di sgargianti colori dell’azzurro.
Lo spettacolo, in cui non mancano spunti autobiografici, si chiude sulle note, con sola chitarra, di “Abbi cura di te” presentata a Sanremo 2019. Quanto basta per conquistare il pubblico, che applaude il vincitore del festival sanremese 2007 con “Ti regalerò una rosa”, con lancio di rose bianche.