«Se il poker è lo specchio della vita, il teatro è il luogo dove attori e spettatori si possono rispecchiare gli uni negli altri. E due specchi messi uno di fronte all’altro generano immagini. Infinite». Marcello Cotugno nelle sue note di regia traccia un parallelo metateatrale tra il gioco del poker e lo spettacolo messo in scena da La Pirandelliana, tratto dall’omonimo film di Pupi Avati. L’adattamento teatrale di Sergio Pierattini trasferisce l’ambientazione dagli anni ’80 dell’originale a oggi, aggiornando i riferimenti, ma lasciando invariati i rapporti tra i personaggi. Quattro amici si ritrovano dopo anni per giocare a poker, la notte di Natale. Franco (Filippo Dini), direttore di un multisala. Lele (Giovanni Esposito), critico teatrale. Stefano (Gennario Di Biase), proprietario di una palestra. Ugo (Valerio Santoro), uomo di televisione. È lui che trova il pollo per la serata, l’avvocato Sant’Elia (Gigi Alberti), non più giovane, facoltoso, col vizio di perdere. Davanti a un albero di Natale scarno e sbiadito, i cinque protagonisti si incontrano e si scontrano sul tavolo verde e non solo. Riaffiorano i bei ricordi di quando il nobile gioco del poker riempiva le loro serate, ma anche i vecchi litigi e gli accumulati rancori.
L’intervallo tra primo e secondo tempo segna l’inizio della partita e un cambiamento radicale dei toni. Se nella prima ora di spettacolo l’atmosfera è serena, a tratti anche esilarante, nella seconda emerge una grigia competizione che le carte non riescono a soddisfare. La scenografia geometrica, essenziale, ma allo stesso tempo solenne di Luigi Ferrigno incornicia una resa dei conti che non ha nulla a che vedere col fair play. D’altra parte il gioco d’azzardo prevede la correttezza solo nel garantire la posta impegnata. Il resto è tutto una scommessa sulle proprie carte e sull’abilità di leggere le mosse degli avversari, vecchi amici o sconosciuti che siano. Come nella vita, c’è chi punta tutto sulle proprie capacità, chi si affida a quelle di qualcun altro, chi rischia anche quello che non ha e chi si accontenta di stare seduto al tavolo. Il comportamento che tenuto in una partita a poker rivela sempre qualcosa sulla personalità di chi gioca, nel bene e nel male, più o meno consciamente.
I pokeristi de La Pirandelliana, come quelli del film di Pupi Avati, affrontano il gioco e la vita in modi del tutto differenti, ognuno col proprio grado di tensione, ognuno con la propria attitudine al rischio. Tutti, però, si ritrovano la notte del 24 dicembre intorno non a un banchetto natalizio, ma a un piccolo tavolo tondo coperto da un panno verde. Tutti insieme, da soli. A fingere, come si fa nel gioco del teatro, di essere quello che non sono, a garantire solo per se stessi.
Cinque attori affermati come quelli che interpretano i protagonisti di Regalo di Natale non potevano che delineare i personaggi con sapiente caratterizzazione, donando alla messinscena una gestualità, una cadenza dialettale, una timbrica tutte loro. Ciascun giocatore ha qualcosa del suo corrispettivo cinematografico e qualcosa dell’attore che lo impersona sul palcoscenico. La resa teatrale, che non può avvalersi di primi piani e flash back chiarificatori del passato – di cui il film per buona parte si compone – trova la risoluzione nell’esplicazione verbale dei conflitti di gioco. Le mosse, gli azzardi, i bluff sono sciolti dai giocatori più sul proscenio che sul tavolo da poker. Perfino quello che rimane ignoto fa parte del gioco, è sospeso tra la realtà rappresentata e quella creduta.