Applausi a non finire la sera di venerdì 12 aprile 2019 per Alessandra Ferri, Federico Bonelli e i meravigliosi danzatori scaligeri nel lavoro pluripremiato Woolf Works del coreografo britannico Wayne McGregor, accompagnati dall’orchestra scaligera diretta dal maestro Koen Kessels, sulle note del compositore avanguardista Max Richter.
Il lavoro prende inspirazione e rende omaggio ad alcuni dei più noti romanzi di Virginia Woolf e alla sua autrice. Creato nel 2015 per il Royal Ballet di Londra, Wayne McGregor arriva per la prima volta alla Scala con uno spettacolo che segna la storia della danza del ventunesimo secolo. Il balletto si compone di tre parti, ciascuna legata a un romanzo raccontando allo stesso tempo la storia dell’autrice, e si avvale del prezioso aiuto di due donne: la regista Uzma Hammed e l’étoile Alessandra Ferri.
La prima sezione I now, I then nasce dal romanzo Mrs Dalloway (1925). Sulle note di Richter, musica e movimento proiettano sia il mondo interiore di Clarissa Dalloway, portavoce della società, sia quello di Septium Warren Smith, soldato traumatizzato. L’azione si muove con una serie di flash-back and flash-forward lasciando ai personaggi la possibilità di riflettere sugli eventi che li hanno condotti alla condizione attuale. Il sovrapporsi della dimensione emotiva dei personaggi, così ben reso dalla Woolf, è magistralmente reso anche sul palcoscenico.
Clarissa è condivisa tra Alessandra Ferri e Caterina Bianchi, contraddistinguendosi per eleganza e bellezza e dimostrando una dolce sobrietà che non nasconde del tutto la sua struggente sensualità.
Wayne McGregor ‘aveva visto lungo’ quando cercando l’anima di Virginia Woolf si è rivolto ad Alessandra Ferri. La Ferri, infatti, racconta con il suo corpo la consapevolezza e la maturità di danzatrice, ma ancor prima quella di donna, seppur mantenendo una freschezza e una chiarezza di movimento invidiabili e mettendosi alla prova con lo stile McGregor. È lei infatti il centro dell’azione, interpretando sia Clarissa che la Woolf. Il coreografo inglese probabilmente tocca l’apice della sua carriera con questo lavoro; seppur fedele al suo stile coreografico, adotta una forma espressiva molto matura, accompagnata da una drammaturgia coerente e dai talentuosi interpreti. Le composizioni coreografiche si alternano in maniera elegante e coesa, avvicendando organici duetti, trii e quintetti. La danza è narrativa pur non essendolo e mette in scena sotto forma di movimento il flusso di coscienza che la Woolf utilizza per delineare i suoi personaggi.
Accanto all’interpretazione dell’étoile, degno di menzione è Federico Bonelli, primo ballerino del Royal Ballet, già esperto dello stile McGregor. Bonelli danza con estrema fluidità, precisione e generosità, la sua interpretazione è puntuale e trasmette un forte senso di intimità del lavoro. Nel romanzo della Woolf, Septium e Clarissa non si incontrano mai, ma il balletto li conduce a una sorta di rincorsa l’uno dell’altro come a trasmettere un senso di quello sarebbe potuto avvenire. I diversi piani temporali, sono senza dubbio accentuati dalle luci evanescenti create da Lucy Carter, dalla grave composizione musicale di Richter e dalle tre enormi cornici rotanti ideate dallo studio d’architetti francesi Ciguë.
La seconda sezione Becomings nasce dal romanzo Orlando (1928), in cui il protagonista attraversa la storia, partendo dall’Inghilterra elisabettiana fino ad arrivare al XX secolo e mutando sesso nel tempo. McGregor in questa sezione tira fuori la sua cifra stilistica di fisicità portata all’estremo, le estensioni massime, i ritmi serrati e i piccoli ma dettagliati movimenti simili a spasmi di polsi, braccia e testa tipici dei lavori del coreografo, che i danzatori scaligeri eseguono con estrema maestria.
I costumi sono uguali per uomini e donne, che si spogliano fino a ridursi a un body scarno color carne e si ricompongono con gorgiere e corpetti dorati e pantaloni di color bronzo. Il vortice di corpi viene amplificato dalla musica di Richter e dai laser luminosi 3D che tagliano lo spazio e arrivano a illuminare la platea e i primi tre ordini.
Nella versione londinese, due punte di diamante di questa sezione sono state Natalia Osipova e Steven McRae: i solisti del corpo di ballo della Scala non sono da meno e merita una menzione speciale il duo Nicoletta Manni e Timofej Andrijashenko che spiccano per tecnica e precisione.
L’ultima parte Tuesday, ispirata a The Waves (1931), rivela tutta la sua forza espressiva e il focus del balletto. Come un fil rouge che trova la sua conclusione, si apre con la lettera che Virginia Woolf scrisse al marito prima di lanciarsi nelle acque del fiume Ouse. Il flusso di coscienza del romanzo segue la vita di sei amici dalla giovinezza fino alla maturità. È un’opera piena di riferimenti all’acqua che McGregor riproduce in una serie di quadri brevemente accennati come rappresentazione degli ultimi momenti di vita della Woolf. Onda dopo onda i ballerini (tra cui alcuni giovani studenti della scuola di ballo) salgono sul palcoscenico sulla struggente partitura di Richter, volteggiando intorno alla desolata figura della Ferri-Woolf prima che l’oscurità l’avvolga.
Nell’unica registrazione esistente della Woolf della BBC del 1937, che apre il balletto, l’autrice si domanda: “…Come possiamo combinare le vecchie parole in nuovi ordini così che sopravvivano, così che creino bellezza, così che dicano la verità? Questo è il punto”.
McGregor, artista del XXI secolo, crea bellezza con il suo lavoro; le vecchie parole si trasformano in gesti universali che non hanno bisogno di una traduzione e i corpi dicono la verità sulla forza espressiva delle parole di Virginia Woolf.