Un apologo sul teatro.
Toni Servillo chiude la stagione con una magnifica prova d’attore e una mirabile lezione di teatro con gli insegnamenti che Louis Jouvet impartiva alla giovane allieva, nella scena di addio di Elvira a Don Giovanni nel IV atto dell’opera di Molière.
Dal 14 febbraio al 20 settembre del 1940, nel corso di sette incontri presso il Conservatoire National d’Art Dramatique di Parigi, il maestro spiega, incalza, dimostra recitando personalmente, sottolineando intonazione, postura e tempi scenici affinché al pubblico giunga l’essenza del personaggio. La giovane Claudia si compenetra nella figura di Elvira, che dolente e rassegnata non accusa ma ammonisce, in un crescendo di interiorizzazione.
Passando dalla tecnica al sentimento, dalla finzione alla realtà, dall’interpretazione all’identificazione si realizzerà la catarsi. È questo il ruolo dell’arte, sostiene Servillo, che comporta una scelta di responsabilità: “la tecnica senza sentimento è banale, il sentimento senza tecnica è noioso”.
Dalle prime due file di poltrone del Teatro Argentina (gremito fino all’ultimo ordine di palchi) poste su una pedana, Servillo/Jouvet assiste alle prove intervenendo con annotazioni, salendo sul proscenio per correggere il tono, le pause, la foga verbale, poi si risiede e di nuovo torna ad ammonire di cercare il personaggio dentro di sé, e non fare come le attrici di oggi che recitano se stesse nel personaggio, o come quelle di ieri che declamavano enfaticamente.
Claudia è provata, timorosa di non corrispondere alle aspettative. Il maestro la sprona, con collaudata arte maieutica trae fuori dalle sue corde l’autenticità di Elvira, mentre in sala il pubblico spia questo “particolare momento di una vera e propria fenomenologia della creazione del personaggio” scrive Servillo nelle note di regia.
Il mestiere d’attore, vivisezionato fino alla trasposizione dell’interprete nel personaggio ammalia, sviluppando empatia per la fatica fisica e psichica che questo perenne scandagliare comporta. I consigli di Servillo e le riflessioni di Jouvet si mescolano nella rivelazione del segreto del mestiere tra un flusso di fatica, sentimento ed emozione.
Servillo veicola con naturale padronanza tutta la passione di Jouvet per il mestiere d’attore, in una permanente tensione emotiva tra tormento ed estasi che coinvolge i suoi tre allievi: Petra Valentini (Claudia), Francesco Marino (Don Giovanni), Davide Cirri (Sganarello).
Attraverso i tentativi di Claudia di impossessarsi di Elvira, l’uomo di teatro esprime la sua concezione del teatro operando la distinzione tra l’acteur che entra nel personaggio con la sua personalità e il comédien che si fa assorbire dal personaggio. “Dopo anni in cui le riflessioni di Jouvet sul teatro e sul lavoro di attore mi hanno fatto compagnia nell’affrontare repertori diversi”, rivela Servillo “da Molière a Marivaux, da Eduardo a Goldoni, mi è parso necessario che arrivasse il momento di un incontro diretto”.
La fine delle prove è la fine dello spettacolo. Usciti tutti di scena, sul nero fondale appare l’epilogo: le truppe naziste di occupazione impedirono all’attrice ebrea (nella realtà era Paula Dehelly) di andare in scena e il maestro espatriò fino alla fine della guerra.
Le sette lezioni che Jouvet fece stenografare, sono state trascritte dalla regista Brigitte Jacques-Wajeman nella pièce “Elvire Jouvet 40” portata in scena nel 1986 da Strehler e oggi, nella traduzione di Giuseppe Montesano, costituiscono il diario su cui Toni Servillo ha impostato il suo spettacolo.
Il 30 maggio, nell’ambito del “Lunga Vita Festival” viene proiettato al Teatro Argentina il documentario “Il teatro al lavoro” di Massimiliano Pacifico sul metodo di lavoro della compagnia per la creazione dello spettacolo.