Questa intervista, svoltasi in due momenti diversi nello stesso bar di Torino vicino a Porta Susa, nasce dal mio desiderio di conoscere anche chi lavora dietro le quinte, o più banalmente chi bazzica il backstage. Conosco Dario Duranti da alcuni anni, più o meno da quando frequento il Cirko Vertigo, e ne ho sempre avuto la sensazione di persona che risolve le cose, i problemi. Ho pensato a lui e mi ha subito risposto di sì, quando gli ho detto che più che un’intervista sarebbe stata una chiacchierata per conoscerci. Mi sono trovato davanti ad una persona che è molto di più di un professionista serio, con una grossa esperienza accumulatasi in decenni di lavoro nel campo circense, teatrale e di spettacolo in genere, con una grande passione che lo divora: l’amore per il circo. È forse questo il motivo per cui, per completare questa chiacchierata-intervista in cui ci siamo raccontati, abbiamo dovuto trovare un altro momento conclusivo e riassuntivo, perché quando Dario inizia a parlare di questo suo grande amore il tempo si ferma, i suoi occhi luccicano e tu sei così preso dalla ricchezza di ciò che dice che non puoi fare altro che ascoltare, ammaliato. Andiamo con ordine. Un primo ostacolo lo abbiamo trovato nel definire il suo lavoro. È un comunicatore che cura la programmazione, promuove strategie, segue l’ufficio stampa, accompagna fisicamente gli artisti, e molto altro ancora. Propone “Consulente dello Spettacolo”, a me viene in mente “Manager delle Arti” e comunque nessuna definizione è esaustiva di tutto ciò che fa. Non si tira indietro se c’è da montare o smontare scenografie, accompagnare gli artisti in giro per l’Italia, aspettarli a fine spettacolo, eccetera. In questo momento è un free-lance nel senso che segue contemporaneamente più progetti di spettacolo, dal circo al teatro di strada, dall’illusionismo alle arti performative in generale. Quando aveva circa cinque anni, e viveva in Germania, ha avuto il primo incontro con il circo ed il ricordo di una visita a famosi artisti italiani nei camerini di un grande tendone è vivido ed ancora bruciante. Da allora questo è stato il suo desiderio: non diventare uomo di spettacolo, bensì seguire il dietro le quinte, permettere con un lavoro quasi invisibile ma estremamente necessario, il perpetuarsi della magia da lui vissuta. Dove i bambini entrano in un mondo fatato e ne escono con le luci negli occhi.
Ha vissuto in molti luoghi, in Italia ed all’estero, seguendo la famiglia. Tornato a Torino, dopo il Liceo si iscrive a Scienze Politiche dove grazie alla complicità del professor Christopher Cepernich, riesce a portare il suo grande interesse anche in ambito accademico laureandosi proprio con una tesi su circo e mass media. Mentre per diletto scrive di questa arte per alcune testate cartacee e web, un po’ per caso e un po’ naturalmente, si imbatte in Paolo Stratta, che in quegli anni stava dando il via a Torino al progetto che di lì a poco avrebbe preso il nome di Cirko Vertigo. Il primo incarico era un modulo di lezioni di Storia del Circo, nel Corso di Formazione Professionale per Artista di Circo Contemporaneo. Allora la Scuola aveva sede in Via Petrella sotto due tendoni. Successivamente l’incarico aumenta con varie mansioni anche inerenti la gestione della formazione professionale e la comunicazione del progetto.
Dal 2006 il progetto si amplia e cresce mettendo le radici a Grugliasco dove, in aggiunta alla formazione (amatoriale e professionale), Vertigo organizza e produce spettacoli oltre al festival estivo. Stavano nascendo nuovi modi di interpretare il circo, una generazione di ragazzi non appartenente a famiglie circensi provava il desiderio di apprenderne le tecniche e di farle diventare la propria vita e la propria professione. “Oltre alle docenze con professori di tecniche circensi mandavamo i ragazzi del corso a fare tirocini nei circhi tradizionali. Un’esperienza intensa e selettiva: alcuni non resistevano, ma la maggior parte la affrontava con lo spirito giusto portandosi a casa ricordi indelebili. Due mesi in un questo mondo consentivano a ragazzi che venivano da background molto diversi e che talvolta avevano dei pregiudizi verso il circo classico, di sperimentare sulla propria pelle la vita itinerante, l’ingresso per la prima volta in pista davanti ad un pubblico, il contatto con artisti e maestranze provenienti da tutto il mondo. C’era la ragazza, animalista convinta, che si emozionava nel fare il bagno con le foche, esperienza che non avrebbe mai più potuto ripetere. Chi raccontava di avere dormito nella roulotte a fianco del carro in cui viveva l’ippopotamo, chi scopriva che il linguaggio dell’acrobatica poteva essere un alfabeto comune che univa mondi diversi”.
Gli ricordo di essere anch’io un animalista convinto, che non ho mai amato l’esibizione di animali e che disapprovo il loro impiego in qualsiasi tipo di spettacolo. Mi parla della sua esperienza. Si è sporcato le mani in entrambi i settori, tradizionale e contemporaneo, e sa che, troppo spesso, ci sono incomprensioni da ambo le parti. Chi ha sempre vissuto nel circo è diffidente verso chi pratica arti circensi provenendo dall’esterno e magari gli rinfaccia di non amare gli animali, come se fosse possibile non affezionarsi al proprio compagno di lavoro, mentre viceversa chi propone nuovi modi di declinare queste arti talvolta rifiuta con fermezza il modello basato sulla tradizione. Dalle sue parole capisco di essere troppo condizionato da opinioni altrui e di non avere mai cercato davvero di conoscere chi in questo ambiente è nato e vi ha sempre vissuto. E poi c’è una verità essenziale: il circo non ha bisogno di essere spiegato: è uno spettacolo popolare ed immediato che esalta la tecnica e l’estetica, senza pretendere di veicolare messaggi o narrare storie, cosa invece che appartiene più al filone del nouveau cirque attingendo ai linguaggi della danza, della recitazione oltre che dell’acrobatica. Sono due generi diversi. Tradizionale e contemporaneo non sono due generi alternativi, bensì complementari che è giusto che convivano, rivolgendosi a pubblici diversi e affacciandosi a mercati distinti. L’uno non è il superamento dell’altro, come la danza contemporanea non ha soppiantato la classica, per intenderci.
Avrei ancora molte cose da chiarire, ma il tempo passa e non possiamo incontrarci una terza volta. Finisce raccontandomi delle difficoltà che trovano sempre di più i circhi, dei rapporti deteriorati con i comuni, e di come il circo di oggi sia diventato altro nell’immaginario collettivo rispetto a quello che era solo alcuni decenni fa. Prima di salutarci mette sul tavolo un album di immagini che dimostra davvero ciò che mi ha raccontato. Sono fotografie che lo ritraggono da quando era bambino fino a diventare adulto insieme ad artisti di tutto il mondo, accompagnati molto spesso da dediche personali nei suoi confronti. Da come lo maneggia indovino l’importanza che ha per lui. Nelle sue parole c’è orgoglio e forse una vena di rimpianto per un mondo che fatica a trovare nella scena attuale. Nelle mie una punta di invidia.