La sicilianità in scena con Leo Gullotta, versatile attore approdato dalle tavole del Teatro Bellini di Catania a una luminosa carriera, attraverso gli scritti e le idee dei più significativi esponenti della cultura siciliana classica e moderna.
Proiettato sul fondale ruota un mappamondo, con zoom sull’Italia e sulla Sicilia mentre Gullotta entra in sala dal fondo e sale sul palcoscenico descrivendolo come una terrazza affacciata sul mito, sulla storia e sulla cronaca di quest’isola abitata dagli dei e dai Ciclopi.
Il racconto, anzi la conversazione con il pubblico amico in sala abbattendo la quarta parete, inizia con la spiegazione del titolo “Minnazza”, in siciliano “grande seno”, sull’immagine della piccola statua paleolitica in pietra calcarea della Venere di Willendorf del Naturhistorisches Museum di Vienna, la Grande Madre Terra dal cui grembo accogliente dovremmo suggere quel latte che immunizza dal cinismo imperante.
I versi di Ignazio Buttitta danno inizio al girotondo, condotti per mano da scrittori, poeti ed eroi contemporanei che hanno immolato la vita al potere sanguinario della nostra epoca, col coraggio civile delle loro idee.
Accompagnato dalla colonna sonora delle musiche di Germano Mazzocchetti e dai video di Mimmo Verdesca, il percorso drammaturgico curato da Fabio Grossi si dipana con poetico e dinamico coinvolgimento.
“È un racconto sonoro – spiega Fabio Grossi nelle note di regia – che si snoda dalle origini della letteratura dell’Isola dei Ciclopi, fino ai nostri giorni. Un viaggio tra i Miti e il quotidiano, tra il sorriso e la denuncia civile. Voce solista è quella di Leo Gullotta, che frequentando la lingua di contemporanei illustri ci guiderà attraverso le pagine dei capolavori letterari e le righe dei loro componimenti poetici. Un volo radente sulla letteratura italiana attraverso penne siciliane, che invita a pensieri critici sulla Nostra società moderna, confrontandola con riflessioni di oggi e di ieri. Una considerazione sul Coraggio, sia quello civile che quello pratico, come attestazione di vita: non semplice ma degna di essere vissuta”.
Ricordando di essere nato nel quartiere Fortino di Catania e di aver scoperto nelle strade e nei cortili la sua vocazione alla recitazione, Gullotta prende in prestito le parole dei grandi siciliani per raccontare un popolo, la sua storia e il suo carattere. Ecco allora le voci di Luigi Pirandello, Salvatore Quasimodo, Giovanni Meli, Luigi Capuana, Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Giuseppe Fava, i giudici Falcone e Borsellino, Leonardo Sciascia, Andrea Camilleri. Ciascuno con le proprie tematiche e la propria eticità descrive con bonomia, veicola valori arcaici, denuncia soprusi e ingiustizie, evoca ricordi e suscita riflessioni su fenomeni che attraversano la nostra cronaca, come l’immigrazione che rimanda alle immagini in bianco e nero degli emigrati siciliani vittime del disastro nella miniera belga di Marcinelle.
Incisivo il brano tratto dal Gattopardo del colloquio tra Don Fabrizio principe di Salina e il cavalier Chevalley di Monterzuolo che gli offre il seggio di senatore del nuovo Regno d’Italia, in cui il principe stigmatizza la fierezza dei siciliani che ritenendosi perfetti rifuggono dai cambiamenti, ostili alla presenza degli stranieri e plasmati da una natura infuocata per buona parte dell’anno: “L’essere perfetti, per i siciliani, è una vanità più forte della miseria. Quel senso di superiorità che chiamiamo fierezza, in realtà è cecità”.
E, infine, la leggenda risalente al XII secolo e rielaborata da Italo Calvino di Colapesce, il figlio del pescatore che viveva in simbiosi con il mare di cui descriveva i tesori. Sfidato dall’imperatore Federico II di Svevia a compiere un’impresa ardimentosa, rimane sott’acqua per sostenere l’isola evitando che sprofondasse. L’audacia sacrificata all’arroganza del potere.