È la solitudine sociale il male che affligge il personaggio Silvio, vedovo da dieci anni che aspetta attende nella sua casa isolata la visita dei tre figli adulti e del fratello per commemorare, come da tradizione, la morte della moglie. Questa volta però la consueta commemorazione della defunta coincide anche con il decimo anniversario della sua scomparsa e tutto sembra ormai volgere verso una sorta di resa dei conti. Ma senza troppi drammi o tragedie celate.
È proprio la solitudine sociale il fulcro di Si nota all’imbrunire (solitudine da un paese spopolato), toccante, nuovo testo scritto e diretto da Lucia Calamaro che dopo il debutto al Napoli Teatro Festival Italia 2018 al Teatro San Ferdinando e al Festival di Spoleto, arriva sul palco del Teatro Argentina di Roma.
La raffinata messinscena che nasce dall’illuminazione di Umile Vainieri e dalle scene di Roberto Crea, custodisce uno spettacolo che racconta di un male dell’anima moderno, un male che affligge un Silvio Orlando che regala il ritratto misurato di un uomo stanco e avvilito dalla vita che non rinuncia a un tocco di sottile umorismo.
“Essere isolati dalla società è un male oscuro e insidioso” racconta la Calamaro che ha scritto e diretto il testo individuando in Silvio Orlando “un attore unico. Capace di scatenare per la sua resa assoluta al palco, le empatie di ogni spettatore, e con le sue corde squisitamente tragicomiche, di suscitare riquestionamenti, emozioni ed azioni nel suo pubblico”.
E al centro del testo, viene costruita tutta l’attualissima difficoltà della comunicazione, spesso e volentieri anche con i già stretti famigliari finendo per restare isolati dal mondo: ispirandosi alla sua autobiografia e a un male vissuto sulla propria pelle, la Calamaro racconta con tocco delicato e toccante la piaga della solitudine sociale (disturbo avallato da due studi presentati in occasione del 125° incontro annuale dell’American Psychological Association (APA), ma lo fa con uno spettacoli dai torni squisitamente tragicomici che costruiscono un’atmosfera onirica e un po’ sfumata, esattamente come accade quando arriva l’imbrunire.
Se l’uomo è un animale sociale, Silvio, ha deciso di rifiutare il contatto con gli altri anche smettendo gradualmente di camminare rifugiandosi in un mondo fatto di ricordi e di solitudine, di riflessioni e di sorprese.
Intorno a lui, il fratello, un perfetto Roberto Nobile che cerca di frenare l’avanzata dell’età cerando di appellarsi alla gioventù perduta e i suoi tre, problematici, ciascun a suo modo, figli.
Alice Redini è la nevrotica, aspirante poetessa in cerca perenne di ispirazione, Maria Laura Rondanini è la problematica, noiosa figlia che pensa di doversi caricare il peso del mondo su di sé e il figlio Riccardo Goretti, un po’ precario, un po’ filosofo non ha ancora ben capito che cosa fare della sua vita.
Diviso fra i quattro punti di vista dei suoi parenti, ciascuno dei quali tende a convincerlo ad abbandonare il suo status di solitudine, Silvio sembra invece ignorarli ergendosi al di sopra dei loro sguardi, delle loro certezze, dei loro tentativi di smuoverlo dalla sua solitudine. E continua a crogiolarsi nell’assoluta certezza delle bontà della sua scelta di cui è vittima consapevole e da cui sembra impossibile ormai cercare di poter uscire. Non senza un inaspettato colpo di scena finale.
In grado di sollecitare le diverse emozioni dello spettatore, i quattro attori in scena, catalizzati dalla presenza di Orlando, riescono a fari vivere un testo malinconico e soffuso che non rinuncia a qualche momento lirico e che, nonostante sia pervaso dalla concreta aria di solitudine, non rinuncia ai toni tragicomici suscitando non poche risate. La gravità dell’argomento viene stemperata dalla calma apparente di un cammino, seppure inevitabile, verso la morte.
Obiettivo centrato però anche quando si era prefissata l’autrice che ha sempre dichiarato di sperare che il testo potesse scatenare la consapevolezza della necessità di far visita a qualche parente lontano o a qualcuno che sappiamo essere solo.