Potrebbe sembrare una responsabilità troppo grossa per gli operatori teatrali, ma a giudicare dalle parole profonde di Filippo Fonsatti – Direttore del Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale – e di Valerio Binasco – Direttore Artistico – la prossima stagione si propone di riportare il teatro al suo scopo fondativo.
Questo a prescindere dai numeri vorticosi che caratterizzeranno la stagione 2019-2020, con 74 titoli tra cartellone e produzioni in tournée, tra cui 9 nuove produzioni, 5 nuove coproduzioni e 3 riprese, 38 spettacoli ospiti e 19 allestimenti per il Festival TorinoDanza. Numeri che, se l’istituzione guidata dal Presidente Lamberto Vallarino Gancia si limitasse a produrre e diffondere del buon teatro, potrebbero assicurare da soli l’enorme successo delle scorse edizioni.
Ma lo Stabile sembra andare più in là, nella consapevolezza di quanto sia importante veicolare, attraverso le arti sceniche, alcuni valori che l’universo mediale contemporaneo sta ostacolando (le fake news, in particolare, vengono additate come opposto della genuinità scenica). Quasi ritenendo di doversi giustificare, a nome di tutto lo Stabile il Direttore Fonsatti ha dichiarato che «ci piace fare ciò che facciamo [ma] il teatro ha il dovere di preservare la correttezza nel confronto», come accadeva nella polis greca, al tempo in cui la democrazia era ancora soltanto un’idea nascente.
Il confronto: mostrare i pugni
È invece Binasco a sentirsi in dovere di motivare le ragioni per cui l’immagine della nuova stagione raffigura una bambina che indossa i guantoni da pugile e osserva lo spettatore con sguardo malinconico.
«Quasi tutti pensano che l’arte debba far pensare», riflette Binasco in proposito, esprimendo l’opinione contraria per cui sarebbe meglio «pensare con le emozioni, invece che con i pensieri». Gli artisti – e gli artisti della scena in particolare – sarebbero molto simili a pugili, stretti sul palcoscenico come sul ring per prendersi a pugni e dimostrare alla platea cosa si può imparare da una sconfitta (perché è da quelli che cadono e si rialzano che si può imparare qualcosa)
Sarà proprio Binasco ad aprire e chiudere la prossima stagione, con Rumori fuori scena di Michael Frayn (Teatro Carignano, 7 – 27 ottobre 2019) e Uno sguardo dal ponte di Arthur Miller (Teatro Carignano, 19 maggio – 7 giugno 2020). L’omaggio al grande teatro del Novecento caratterizzerà molti degli spettacoli che andranno in scena nel frattempo, con La casa di Bernarda Alba di Federico García Lorca per la regia di Leonardo Lidi, una nuova versione di Eugenio Allegri del Mistero Buffo di Dario Fo, la regia e interpretazione di Gabriele Lavia ne I giganti della montagna di Luigi Pirandello e Laura Curino ne L’anello forte di Nuto Revelli con Lucia Vasini, per la regia di Anna Di Francisca.
Il confronto: il rispetto dell’altro
Fair Play: letteralmente si può tradurre con “rappresentazione gradevole” o “buona commedia”, ma il titolo di stagione si riferisce piuttosto alla lealtà, al “gioco corretto” e totalmente onesto alla base della finzione scenica.
A proposito di “rappresentazioni gradevoli”, tre successi della stagione corrente verranno riproposti nella produzione dell’anno prossimo: l’Arlecchino servitore di due padroni di Binasco, Se questo è un uomo di Valter Malosti e Così è (se vi pare) di Filippo Dini; le produzioni inedite vedono nuovamente Dini impegnato nell’adattamento di Misery, la versione teatrale di William Goldman del romanzo di Stephen King; lo spettacolo Fausto Coppi. L’affollata solitudine del campione di Gian Luca Favetto; Fuoriusciti di Giovanni Grasso, per la regia di Piero Maccarinelli; Scene di violenza coniugale. Atto finale di Gérard Watkins con la regia di Elena Serra.
Se la boxe fosse un gioco di squadra, questi nomi rappresenterebbero i giocatori coordinati da un Binasco che non fatica a trovare un parallelismo tra pugili e attori, entrambi chiamati a esprimere il corpo con quel principio di correttezza che la lingua anglosassone definisce Fair Play.
Il confronto: l’apertura al mondo
Anche quest’anno lo Stabile di Torino riconferma la grande attenzione al teatro europeo e mondiale. Aderente al network Mitos 21 dall’anno scorso, insieme a grandi realtà teatrali delle capitali europee, lo Stabile è stato chiamato a ospitare nel corso del prossimo autunno un seminario che vedrà i dramaturg dei teatri membri coordinati da Fausto Paravidino.
L’accoglienza si estende anche sul fronte delle produzioni, vedendo Paolo Pierobon impegnato nello Zio Vanja di Anton Čechov, regia della giovane ungherese residente del Teatro Katona di Budapest Kriszta Székely; dopo il debutto all’ultimo Festival di Avignone, il lituano Oskaras Koršunovas presenta il Tartufo di Molière; Sergey Byzgu dirige il Collettivo Semianyki nella commistione di clownerie popolare russa, commedia dell’arte e mimica francese di Lodka; Crystal Pite e Jonathon Young rileggono Gogol’, traendo da L’ispettore generale lo spettacolo Revisor che vedrà la scena nell’ambito del Festival Torinodanza; a maggio, infine, Why? diretto da Peter Brook e Marie Hélène Estienne porterà sul palco Kathryn Hunter e Marcello Magni.
«La vera nobiltà dell’arte, sebbene portatrice di tanto necessario Fiar Play, è una roba bastarda, meticcia, per niente aristocratica»: con queste parole Binasco sembra evocare il tema del “confronto con il pubblico”, che sebbene non venga espressa esplicitamente sappiamo essere una delle tematiche centrali del Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale.
In merito a questo, se anche la prossima stagione non dovesse riuscire a delimitare i confini etici di un Fair Play teatrale, rimane la certezza che un pubblico nutrito e variegato avrà di che apprezzare in un cartellone tanto ampio.