Quando ho deciso di avventurarmi in questa sci-fi series qualche anno fa, ero particolarmente scettica perché non amo il racconto di ciò che è lontano dalla realtà. Non è quasi mai motivo di evasione per me, bensì di confusione e perplessità. È come se avessi la costante necessità di immergermi in ciò che posso cucirmi addosso come solo la verità sa fare. Anche quando è troppo dura da digerire. Già dopo la prima puntata di “Black Mirror”, mi sono resa conto che quel mondo che credevo così distante da me e dalla società in cui vivo, è in realtà il mondo di cui faccio già parte. Magari estremizzato, certo, ma nient’affatto utopistico.
Adesso se vi siete anche solo un po’ incuriositi, prendetevi del tempo e scegliete da dove iniziare. Questa è la prima grande libertà che vi offre questa mini-serie sconvolgente: ogni episodio è a sé stante e l’unico filo conduttore è la struttura narrativa basata sul racconto di un futuro più o meno vicino al nostro presente, in cui gli apparecchi tecnologici sono sempre più estensioni dell’essere umano (nell’episodio “The Entire History of You” assistiamo perfino ad un dispositivo innestato in ogni persona che consente di rivedere – e proiettare – i ricordi di ciascuno come registrazioni oggettive). Ormai non siamo più solo spettatori passivi o divertiti, ma veniamo profondamente influenzati nelle nostre scelte di vita e nei nostri ricordi. E più la tecnologia diventa strumento così paradossalmente umana, più finiamo con il trattare noi stessi e gli altri con meno umanità.
La maggior parte degli episodi termina in maniera cupa (per questo non vi consiglio di vederne più di due al giorno): solitudine, famiglie distrutte, schiavitù, prigionia, ricatti, adulterio, umiliazione, morte e omicidio. Potete perfino ritrovarci una sorta di legge del contrappasso dantesco in alcuni casi: uno degli episodi più riusciti in assoluto (“White Bear”) racconta come la pena peggiore a cui essere sottoposti è la stessa inflitta al nostro prossimo, in un infinito loop in cui ogni giorno si azzerano i nostri ricordi.
“It’s time to tell you who you are”. È ora di dirti chi sei. È questo il messaggio più forte che vuole trasmetterci questa serie. Anche se non avete mai visto la creazione del produttore e sceneggiatore britannico Charlie Brooker, riflettete per un attimo sul significato dello schermo nero a cui si fa riferimento. È quello del vostro cellulare, del vostro pc e di ogni televisore presente nelle nostre case. Ed è lì che per pochi secondi ci riflettiamo. Quando i nostri dispositivi si spengono, o prima di essere accesi nuovamente, i nostri schermi diventano letteralmente degli specchi in cui possiamo vedere noi stessi. Un messaggio così potente che ho riscontrato poche volte nelle serie che ho visto. È proprio qui che la tecnologia esprime il suo più grande potere: nel modo in cui riflette chi siamo e cosa scegliamo di fare. Parafrasando quello che lo stesso Brooker vuole dirci, il vero tema non è la tecnologia, ma come l’umanità reagisce ad essa.
In realtà c’è un altro messaggio che ho tratto nel mio piccolo da questa serie antologica di fantascienza. Prendete gli episodi “Hang the Dj” e “San Junipero”. In entrambi i casi, vi troverete ad apprezzare la banalità perfino commovente della forza che “move il sole e l’altre stelle”: l’amore. È forse l’unico sentimento che può svegliarci dall’incantesimo?
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Crediti
Ideatore Charlie Brooker
Produttore Charlie Brooker
Casa di produzione Endemol
Distributore Channel 4 (st. 1-2) e Netflix (st. 3+)
Distributore italiano Sky Cinema 1 (st. 1-2) e Netflix (speciale di Natale, st. 3+)