Ernesto Bassignano è un guru della canzone di protesta dura e cruda, forse l’unico esponente rimasto di quella generazione di cantautori sociali e scomodamente schierati.
Per anni gravita attorno all’esperienza romana del Folk Studio, qui è una delle principali voci della canzone politica e protagonista della rivoluzione musicale e culturale sessantottina. Quando all’inizio degli anni Settanta Venditti, De Gregori e gli altri del Folk Studio virano su rotte più commerciali Ernesto è invece impegnato direttamente con il PCI. Per tutti gli anni Settanta Ernesto Bassignano continua sulla traccia solcata della canzone politica; negli anni Ottanta comincia un intensa attività radiofonica diventando poi conduttore del celebre programma “Ho perso il trend”. All’attività radiofonica affianca quella giornalistica e continua, sporadicamente a scrivere e pubblicare musica. Finita l’esperienza in radio continua quella cantautoriale. Quest’anno è infatti uscito l’ultimo album “Il mestiere di vivere”, titolo omaggio al poeta piemontese Cesare Pavese.
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Ernesto, hai un’esperienza decennale per quanto riguarda il cantautorato…Eheh, secolare ormai, siamo già oltre i cinquanta praticamente.Ecco dicci, cambia molto quando ti approcci alla scrittura dopo che hai accumulato tutto questo bagaglio?
Non è cambiato niente perché io sono sempre Ernesto Bassignano, cantautore di lotta e sociale. Per anni ho fatto i concerti alle feste di partito cantavo e scrivevo degli inni demagogici populisti agghiaccianti, però ho sempre tirato dritto per la mia strada senza farmi contaminare dalle spinte che mi volevano più commerciale.
Come nasce una canzone di Ernesto Bassignano e qual è il tuo rapporto con i musicisti che collaborano ai tuoi dischi?
Prima arriva un idea, poi una pagina di prosa, poi arriva un testo e poi arrivano un po’ di accordi. Poi do in mano il materiale a questi geni che ci mettono una settima, un violoncello li, un armonica là e creano un arrangiamento meraviglioso. Noi cantautori siamo tutti un po’ così, Vecchioni sa meno accordi di me ma ha sempre avuto qualcuno che masticava la musica a dargli una mano, Guccini è diventato famoso con Do Fa e Sol, ma lui è un cantastorie… personalmente amo moltissimo i grandi musicisti: Fossati, Conte e Iannacci in particolare.
Com’è stato il lavoro che hai fatto in studio per Il mestiere di vivere?
Il disco praticamente è un unplugged, registrato tutto d’un fiato, senza sovrapposizioni, ci siamo divertiti moltissimo in questo processo. I musicisti che hanno partecipato sono tutti d’estrazione jazzistica, alle orecchie più attente non sarà sfuggito. Abbiamo anche fatto un po’ di concerti in formazione, recentemente siamo stati all’Auditorium di Roma, è andata molto bene.
Ho letto molte critiche e recensioni positive su questo disco
Sì, assolutamente. Se guardi sulla mia official page (ndr. Bax Official su Facebook) vedi molte recensioni positive e per questo io sono veramente al settimo cielo. Han parlato in questo disco in una maniera imbarazzante, per me è una grande gioia. Quelli de Il mestiere di vivere sono nove brani uno più bello dell’altro, non so neanche quale scegliere.
Nonostante tutto non sei mai riuscito a sfondare come cantautore, come mai?
Ho fatto degli errori clamorosi nella vita ma non mi pento, son fatto così. Ho sempre fatto 4-5 lavori insieme e mi son divertito. Ogni volta che pubblicavo un disco uscivano diverse recensioni ma poi non se ne sapeva più niente, un po’ perché non venivano distribuiti, un po’ perché facevo altre cose e non ho mai avuto molto tempo. Negli ultimi 3-4 anni, da quando è uscito Il grande Bax, invece sto avendo dei buoni risultati e sono molto soddisfatto.
La tua canzone trae ancora molto dalla tua carriera, sei stato un apripista per quanto riguarda la canzone civile in Italia
Ancora oggi sono completamente a parte rispetto a tre quarti del cantautorato italiano, diciamo che gli unici che mi assomigliano un po’ vengono dalla scuola genovese. Però devo dire, senza darmi delle arie, che sono uno di quelli che ha stilato il manifesto della canzone civile. E da allora ho continuato su quella traccia fino ad oggi, anche questo in parte è un disco di resistenza. Quando ero giovane e la vita politica era vissuta, andavo molto forte, poi dopo gli anni Settanta è finito tutto e mi sono dovuto reinventare come giornalista e conduttore radiofonico. Tra un impegno e l’altro ho comunque trovato il tempo per fare qualche disco.
Però hai sempre continuato sulla tua strada
Ecco forse proprio lì mi sono giocato male la carta del successo. O facevi il cantante di lotta e suonavi alle feste di partito o facevi il cantante pop e facevi carriera. Io ho fatto il cantante di lotta.
Ti sei pentito di questa scelta?
No, perché io continuo a essere così, anche oggi, senza rimpianti. Giro con i miei dischi e le mie canzoni. E con la chitarra in mano racconto 50 anni di vita politica bellissima, in mezzo ad attori, registi, musica, teatro e cinema.
È quindi sepolto il filone della canzone di protesta?
Per carità è finito tutto, c’è ancora un prosieguo di nostalgia ma sostanzialmente è finita tutta nel ’77. Siamo andati troppo avanti con il ritmo, la canzonetta, il pop e la musica di sottofondo. Ecco oggi ci sono i rapper politici che ne dicono di tutti i colori ma il cantautorato e la Canzone, quella con la ‘C’ maiuscola, sono sepolti.
Come vedi la situazione per i giovani cantautori oggi?
Nera, in questo momento in Italia o sei famoso o non sei. Ai miei tempi uno vendeva 100, uno 80, uno 70, adesso uno vende 1000 dischi e 0 tutti gli altri. Questo a livello discografico. Nel circuito i ragazzi che hanno i numeri come Marco Greco, Federico Sirianni, Roberto Kunstler, Carlo Valente fanno nulla o le osterie e i ristoranti. Non c’è nessuno che ti lancia purtroppo, o esci da un talent o da Sanremo, e anche lì dopo un anno e mezzo finisci a rubare le magliette dai supermercati. Oggi se non hai i fondi per finanziarti e pubblicare il disco da solo ci sono poche possibilità.