Il termine devozione deriva dal verbo latino devoveo, che vuol dire consacrare, offrire in voto; nasce dunque in ambito religioso, prima di assumere i significati di dedizione a un ideale e di profonda riconoscenza. La passeggiata di Isa Danieli tra gli autori che hanno segnato la sua carriera di attrice racchiude tutte le sfumature della parola, esprimendo gratitudine verso quella che lei chiama «un’officina», la quale è insieme madre e padre, casa e mito, entità terrestre e divina. «Parole avute in dono o solamente in prestito, per farle rimbalzare nel cuore e nella testa di chi ci ascolta». Dalla Regina Madre di Manlio Santanelli alla Luparella di Enzo Moscato, passando per Ugo Chiti e l’immancabile Eduardo De Filippo, Isa Danieli ripercorre alcune tappe fondamentali della sua vita sul palcoscenico, pezzi d’autore che hanno fatto la storia del teatro, interpretandoli con il suo impeto elegante, la sua raffinata passione. Dopo anni di prove e spettacoli, di frasi ripetute e imparate a memoria, l’attrice partenopea riesce a commuoversi ancora, trasportata dalla parole, ora dolci ora amare, delle sue drammaturgie più amate. Delle quali la sua voce si fa interprete e non filtro, traduttrice e mai traditrice. La Donna Clotilde del Ferdinando scritto da Annibale Ruccello, la giovane madre di Ieshu raccontata da Erri De Luca ne In nome della madre, la piccola Domenica dell’Allegretto (per bene…ma non troppo), Nanà nella già citata Luparella sono donne sofferenti, caricate di un dolore a cui ognuna risponde a suo modo. Tutte donne realistiche, che in teatro significa reali, tutte raccontate e descritte da uomini. In tutte loro la Daniele legge una sofferenza già vissuta da molte e nota in letteratura. Con la Dedica segreta di Roberto De Simone si chiude la lettura scenica e si apre allo spettatore uno spiraglio, si svela un’analogia forte, tuttavia non azzardata, una chiave di lettura che ritorna all’etimologia della devozione. Un inno alla madonna, quella con la minuscola, donna e madre, venerata, trascurata, violentata.
Il Teatro delle Spiagge conclude la stagione con un dono al suo fedele pubblico. Raccontami è un imperativo di esortazione e preghiera. È il lamento pronunciato da un bambino curioso che strattona una veste, sia essa un abito talare o una sottana sporca di sugo. Il «Narrami, o Musa» del proemio omerico. Il grido che ogni spettatore lancia a chi calca le scene. Una catena di parole che dall’autore, attraverso l’interprete, arriva a noi, e torna indietro, da secoli.