A distanza di otto anni, l’Aida di Giuseppe Verdi torna in scena alle Terme di Caracalla e apre, dal 4 luglio (dieci repliche fino al 3 agosto) la stagione estiva lirica del Teatro dell’Opera di Roma con un nuovo allestimento in stile minimalista e intimista pensato dal francese Denis Krief che cura regia, scene e costumi.
Sul podio, il maestro Jordi Bernàcer che si è fatto notare per la sensibilità e la cura della direzione negli spazi aperti delle Terme guidando con equilibro una partitura troppo tradizionalmente legata alla spettacolarità anche musicale, mantenendo invece la giusta dimensione fra i momenti grandiosi della partitura e i ben più numerosi momenti di intimità costruiti nei duetti, con lode al finale all’interno della piramide.
Merito anche di un doppio cast di pari livello, che si alterna nella numerose recite, per voce e qualità dell’interpretazione: appassionata e drammatica l’Aida ricca di colori di Serena Farnocchia (si alterna con Vittoria Yeo), perfida e con un bel timbro Amneris di Silvia Beltrami (si alterna con Judit Kurtasi), bravissimo Diego Cavazzin, “scoperta” dell’Opera con il Trovatore del 2017, voce chiara e possente (si alterna con Alfred Kim). Convincono anche Andrii Ganchuk (si alterna con Marco Caria) nel ruolo drammatico di Amonasro, Alessio Cacciamani (ai alterna con Adrian Sâmpetrean Sagona) come Ramfis, Gabriele Sagona – il Re, Domingo Pellicola (Un messaggero) e Rafaela Albuquerque (Gran Sacerdotessa) che provengono da “Fabbrica” Young Artist Program del Teatro dell’Opera di Roma.
Ma il problema di una nuova messinscena di Aida, e soprattutto negli spazi delle Terme, è sempre lo stesso: Egitto o non Egitto? Denis Krief, con una spiccata predilezione verso il minimalismo, ha scelto di risolvere scegliendo una via di mezzo e in qualche modo cercando di decontestualizzare l’opera: se è impensabile concepire un’Aida al di fuori dell’Egitto, ma è necessario distaccarsi dalla tradizione circense dell’opera (storicamente legata allo scenario delle Terme), Krief ha risolto lasciando inalterata l’ambientazione in Egitto anche grazie alla presenza della piramide che troneggia sul grande palco via via spostata.
La piramide resta a colpo d’occhio il simbolo dell’Egitto, ma anche della morte che incombe fin dall’inizio e sarà luogo di morte di Aida e Radames nello struggente duetto finale.
Ma nel nuovo allestimento, l’Egitto in effetti sembra essere latente o quanto meno non centrale.
“L’Egitto è veramente secondario. È una storia di donne gelose, di tradimenti, di passioni umane forti, sono tutti tremendi. Tutti sono tremendamente umani e quello che rende umani è la non perfezione” aveva chiarito Krief spiegando esplicitamente di voler mettere in scena non un colossale grandioso, ma una specie di oratorio, puntando sulla psicologia e il dramma dei personaggi più che sull’effetto trionfale del secondo atto, su un’Aida lontanissima, e fortunatamente, dagli allestimenti storici in stile simil circense.
E tutto resta coerente alla sua visione: anche nella scena del trionfo (Dio ce ne scampi e liberi adesso dagli animali in scena), il palco è interamente popolato, ma mai in chiave Kolossal anche nelle danze in stile geometrico con la coreografia di Giorgio Mancini.
Krief mette in scena uno spietato dramma d’amore e gelosia lasciando quasi di contorno il tema politico spettacolare: ma sono la psicologia e il movimento dei personaggi a dover caratterizzare il dramma, apparentemente statico, ma intrinsecamente spietato e ben supportato dalla direzione di Bernàcer, molto convincente nella direzione d’Orchestra dei momenti più grandiosi della partitura e soprattutto nelle numerose atmosfere di musica quasi da camera che popolano l’opera verdiana.
Ma se l’Egitto si sente e resta in qualche modo in lontananza con una moderna rilettura intimista, Krief osa anche una serie di effetti quasi stranianti che contaminano l’opera con l’Ottocento verdiano, dalle poltrone in legno e velluto rosso, al palchetto in stile ottocento dove colloca il Faraone nella scena del trionfo, alla bandiera sabauda di stampo risorgimentale che viene sventolata in scena senza neppure dimenticare le trombe egizie con i musicisti in scena in frac e cilindro.
L’Egitto c’è, ma resta percepito in lontananza quasi come se non fosse troppo centrale nella drammaturgia con tanto di scene e fondali dipinti in effetto quasi in trompe d’oeil e con due strutture mobili che ora si trasformano nel teatro, ora nel canneto, ora in ripide scale e che vengono castamente mosse dagli operai in scena.
A imprimere una visione d’insieme, il lavoro totale di Krief che cura le scene, i costumi (tuniche coloratissime in stile minimal, graziosi i costumi delle ballerine), le luci e la regia, ordinata, ma mai sorprendente per uno spettacolo comquneudalle proporzioni grandiosi.
Pubblico numeroso che applaude fragorosamente i cantanti, il direttore e l’orchestra. Anche se con l’Egitto in lontananza, l’Aida è sempre l’Aida. In scena fino al 3 agosto. L’Aida apre la stagione estiva del Teatro dell’Opera di Roma che durerà fino all’8 agosto 2019 alternando La Traviata di Verdi con la regia di Lorenzo Mariani, Romeo e Giulietta di Prokovev nell’allestimento di Giuliano Peparini, le triplici date con Roberto Bolle e tanti Extra. Per informazioni: operaroma.it