25.06 – Teatro Malibran – ore 17.00
A quiet evening of dance
William Forsythe |ideazione
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25.06 – Teatro alle Tese – ore 21.00
Impromptus
Sasha Waltz |direzione e coreografia
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26.06 – Tese dei Soppalchi – ore 19.30
TIDE
Bára Sigfúsdóttir |coreografia e danza
Eivind Lønning | musica e esecuzione
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La tredicesima edizione della Biennale Danza, dal titolo “ON BEcOMING A SmArT GOd-dESS” è per volontà della sua direttrice un focus sull’interprete, sul danzatore e sulla “accordatura del suo essere”, dove il performer è centro della creazione e della esecuzione ed è su lui che i coreografi configurano una articolata narrazione.
Non è forse un caso, parlando di accordature, che i tre appuntamenti ravvicinati del 25 e 26 giugno scorso, esplorassero il rapporto fra danza e musica, evidenziando come i coreografi si confrontino con la musica (classica, contemporanea o estemporanea) con differenti scopi e come questo confronto influenzi la performance dei danzatori.
A quiet evening of dance, il primo degli spettacoli di questa trilogia (due recite al Teatro Malibran dall’ottima partecipazione di pubblico) è un catalogo di melodie danzanti su cui l’autore, William Forsythe, basa la narrazione di armoniose gestualità degli artisti e sulla loro complementarietà alla musica (quando presente).
Eseguiti da sette ballerini, i due atti, scritti in anni diversi, comunicano un’assenza di coesione fra le scene interne risentendo dell’assenza di un pensiero unico.
Così il Dialogue di fine primo atto, un duetto ad imitazione, trova solo nei suoni di sottofondo della natura il collegamento con il trittico di inizio atto Prologue-Catalogue-Epilogue.
Trittico in cui l’attenzione del pubblico è portato a concentrarsi su alcuni particolari dell’esecuzione, dai guanti bianchi o colorati che accentuano i movimenti dei performer alla dissezione delle articolazioni nei movimenti ripetitivi quasi i ballerini fossero i modellini anatomici da pittura.
Sorprendente il lavoro sul secondo atto.
Forsythe sulle note di Hyppolite et Aricie di Jean-Philippe Rameau, cerca la condivisione dello spazio con l’opera musicale non volendo né sopraffarlo o usarlo come mera base musicale né rimanendone sopraffatto.
Ne esce una suite di danze nitide e articolate molto eleganti in cui anche le movenze meno classiche (la presenza di un danzatore hip pop come Rauf Yasit è stata fondamentale) trovano il loro spazio senza che risultino anacronistiche.
Un contrappunto di danza nel contrappunto musicale in cui si può vedere una ampia analisi da parte del coreografo che a particolarità musicale (due voci-due danzatori ad esempio) fa corrispondere una azione scenica uguale e non contraria.
Differente la natura di Impromptus che dal titolo richiama i lavori (improvvisi e lieder di Schubert) che ne costellano l’esecuzione. Il lavoro del 2004 di Sasha Waltz prende spunto dalla musica eseguito dal vivo (buona prova della pianista Cristina Marton, a memoria in tutti gli improvvisi, e del mezzo soprano Judith Simonis) per creare un racconto parallelo (e non didascalico) che solo alcune volte trova una intersezione con la musica.
Una narrazione in 9 quadri in cui rimane sulla pelle l’erotismo raffinato imperante sulla scena.
La continua fusione dei corpi rispecchia la scena geometrica ma al contempo disarmonica di Thomas Schenk e Waltz stesso, creando una coreografia in cui un perenne elemento in contro tempo altera l’assieme armonico.
Un lavoro in cui seppur con sette elementi in scena traspare un costante afflato di divisione e di re-unione fra gli uni e gli altri tipico dell’essere umano e delle sue relazioni e in cui i soli punti di giunzione di puro silenzio (musicale e scenico) sembrano dare una conclusione ai racconti in scena.
Un rapporto che a fine spettacolo risulta definitivamente deteriorato dagli scarabocchi e dalla vernice copiosamente versata dai performer sulla scena e su sé stessi, nonostante un ultimo tentativo di purificazione in una pozza d’acqua ricavata dal pavimento.
Altra occasione di confronto è stata la prima italiana di TIDE della coreografa/performer Bára Sigfúsdóttir in cui la sperimentazione contemporanea è affiancata da quella musicale del trombettista Eivind Lønning.
Un duetto estemporaneo, continuo e vibrante, fra le due arti in cui movimento e suono gravitano parallelamente fra loro.
Entrambi recettivi all’improvvisazione, i due esecutori hanno unito le proprie esperienze per la creazione di uno spettacolo con cui superare la dicotomia musica/danza.
Esperimento riuscito sul palco ma solo parzialmente per il pubblico che pur nel bellissimo locale delle Tese dei Soppalchi risultava poco coinvolto dall’alto delle gradinate e che avrebbe avuto, invece, ancora più trasporto stando a bordo palco.