Per questa calda estate milanese il teatro alla Scala ha scelto di regalarci una rappresentazione fresca e decisamente interessante sotto molti punti di vista, mettendo in scena un insolito dittico: Prima la musica e poi le parole, di Antonio Salieri, e Gianni Schicchi, di Giacomo Puccini.
Due opere che, seppur separate da un abisso temporale, musicale e stilistico, in un certo senso si sposano: a metà tra il serio e il buffo, disegnano un fil rouge che accompagna gli spettatori in modo piacevolmente sorprendente.
Il dittico rientra nel Progetto Accademia e mette in scena gli allievi della scuola scaligera, assieme a grandi nomi del panorama internazionale, in un mix che in questo caso si può dire davvero ben riuscito.
Ma andiamo con ordine: Salieri, in questa opera buffa di un atto compie una sorta di auto-caricatura del mondo operistico, che si può comprendere fino in fondo solo se ci si cala nello spirito del tempo, quando il teatro era l’unico media di successo per una società che segnava l’ineluttabile decadenza della nobiltà europea, sullo sfondo delle vicende ma di certo non assente.
Un’opera che parla di opera, calata nella contemporaneità del ‘700, dove la diva non era altro che la cantante sulla cresta dell’onda, qui non a caso rappresentata nella duplice figura della drammatica e della seria; in realtà uno sfottò che diventa universale se si considerano anche i due personaggi maschili: il poeta e il compositore.
Ad interpretare quest’ultimo un Ambrogio Maestri in ottima forma, sia dal punto di vista vocale che dal punto di vista dell’interpretazione, affiancato da quella che sarà sicuramente una promessa, Ramiro Maturana, nel ruolo del poeta, oltre che da una bravissima Donna Eleonora (Anna-Doris Capitelli) e una meno convincente ma comunque apprezzabile Tomina (Francesca Pia Vitale).
La regia è affidata a Grisha Asagaroff, che per la verità non propone niente di così originale, ma tira le fila del discorso in modo leggero e godibile, grazie anche alle scene di Luigi Perego, che disegna un ambiente aperto, dove gli elementi scenici fanno da contorno alla bravura dei cantanti in scena.
Per Gianni Schicchi, invece, avevamo delle aspettative che non sono state deluse, visto il nome altisonante del regista: Woody Allen, il quale riesce a tradurre il suo stile peculiare nell’opera di Puccini, pur senza snaturarne il libretto, ma piuttosto rinfrescando le note del maestro toscano con un tocco di Broadway e un prevedibile (ma piacevole) approccio cinematografico.
Molto belle anche le scene di Santo Loquasto, che disegna un ambiente ricco di particolari, ma funzionale ai movimenti dei personaggi.
Anche in questo caso Ambrogio Maestri, nel ruolo dello Schicchi, ci regala momenti epici – senza esagerare – aiutato dagli allievi dell’accademia: tutti parimenti all’altezza della situazione.
Adam Fisher si è rivelato ancora una volta un direttore duttile e preciso negli equilibri, pur muovendo la bacchetta attraverso due stili completamente diversi.
Applausi sentiti del pubblico a fine spettacolo, in particolare per Maesti, che porta a casa un indubbio successo personale.