È un lavoro di ricerca quello condotto da Caterina Mochi Sismondi in quel piccolo ma efficace spazio che è lo Chapiteau, tendone da circo di dimensioni ridotte, che crea una situazione di complicità e vicinanza fra attori e pubblico all’interno di uno spazio verde, quasi di un’altra dimensione che è la cornice del Parco Le Serre di Grugliasco. Siamo all’inizio dell’ultima settimana di programmazione del Festival “Sul Filo del Circo”, organizzato da Cirko Vertigo con la direzione di Paolo Stratta.
Lo spettacolo di stasera rappresenta la seconda parte di una Trilogia sul limite che la regista sta conducendo “In un percorso di ricerca personale, in equilibrio tra tradizione e sperimentazione, teatro di parola e movimento, ha esplorato diversi settori della creatività contemporanea, guidata da un disegno in cui teatro, danza, musica, letteratura e arti visive si potessero fondere in una profonda e ricca risorsa espressiva”. Quello precedente era “Bird”, già presentato su questo spazio, che sta incontrando molti apprezzamenti in giro per rassegne e festival, non solo in Italia.
In scena, oltre al performer Lukas Vaca Medina, troviamo la violoncellista Beatrice Zanin che con il suo strumento suonato dal vivo, crea effetti e dialoghi davvero particolari ed interessanti. C’è anche una produzione sonora, le cui “voci” contribuiscono a comporre la struttura drammaturgica.
Se in “Bird” il limite era il volo, inteso come movimento capace di andare oltre la capacità fisica, in questo nuovo lavoro ho colto il limite dell’esperienza. Ciò che ti obbliga ogni volta a trovare nuovi modi di caduta e di risalita, questa perenne ricerca dell’equilibrio che si traduce in successo e sconfitta continua, ma che ti consente di andare oltre, cercare nuovi modi e mondi. Scoprire o riscoprire le proprie abilità nascoste, il nostro corpo che diventa strumento eccelso per dialogare con la musica, la luce, la propria solitudine. Il pubblico, nonostante fosse un lunedì, giornata pessima per uscire di casa, era abbastanza numeroso ed ha seguito con attenzione questa esperienza che diventava quasi collettiva, per la grande vicinanza con la scena.
L’inizio è folgorante, in un buio quasi totale vediamo spuntare lentamente un corpo, dapprima le mani, che sembrano enormi, e poi le altre parti che emergono lentamente e poco per volta, quasi fosse una nascita o rinascita, tanto faticosa appare la lotta con il piccolo fascio di luce a disposizione.
C’è subito un problema: alle gambe dell’attore sono stati messi dei trampoli, per cui salire e trovare la posizione eretta è difficile. Cade spesso e, anche se l’agilità e la voglia di vincere è alta, le cadute sono rovinose e le risalite complesse.
Utilizza anche attrezzi di giocoleria ed anche qui troviamo la sconfitta. Con le clave crea luoghi, spazi e situazioni nuove, il rapporto con la violoncellista è palpabile così come con il pubblico a cui va spesso in un continuo gioco di sguardi.
Bello e toccante in alcuni momenti, soprattutto nell’uso delle luci e degli specchi. Ciò che mi è mancato è stato il silenzio totale, cioè quando il violoncello smetteva di suonare c’era comunque un sottofondo ritmico, che a mio avviso strideva con alcuni momenti poetici. Ancora trovo che in questo spettacolo manchi qualcosa che si era trovato in “Bird”, qualcosa o qualcuno che permetta a chi assiste di entrare in comunione diretta con chi è in scena.
Grande presenza scenica per entrambi gli artisti oltre ad una indubbia professionalità; ho apprezzato l’accostamento, originale e ricco di possibilità.
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Lukas Vaca Medina nato a Bogotá, in Colombia, ha conosciuto il teatro di strada e il circo all’età di 15 anni e ha deciso di fare dell’arte il suo stile di vita. Si è specializzato nella tecnica della ruota Cyr e nella manipolazione degli oggetti alla scuola di Cirko Vertigo a Torino, in Italia. Successivamente è entrato a far parte del programma artistico presso il Centro di formazione regionale Arc en Cirque di Chambéry, in Francia.
Beatrice Zanin è una musicista polimorfa e in continuo mutamento. A partire dallo studio classico del violoncello, si è dedicata in seguito all’esplorazione dell’underground, tra le taglienti sonorità dell’industrial e le melodie della musica indipendente. Parallelamente si è dedicata allo studio e alla programmazione di musica elettronica, in particolare in ambito electro, e ha coprodotto il suo primo album, con forti influenze synth-pop ma con la contemporanea presenza del violoncello. Il suo obiettivo è quello di porre in evidenza il contrasto tra analogico e digitale, tra legno e microchip. Su questa linea ha reinterpretato alcuni brani seicenteschi in versione elettronica, mettendo in evidenza le affinità tra il concetto di variazione barocca e la ripetitività della musica house.
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regia, scrittura coreografica Caterina Mochi Sismondi
interprete Lukas Vaca Medina
scrittura musiche per violoncello ed esecuzione dal vivo Beatrice Zanin
light design Massimo Vesco
suono ed elettronica Hermana Nove
una coproduzione blucinQue e Fondazione Cirko Vertigo